Ossigeno

124 125 Per chi ha fatto del fumetto una passione o il proprio culto domestico, è un nome noto, quello di un Maestro. Per tutti gli altri, dovrebbe esserlo nondimeno: Nicola Mari, pilastro della Sergio Bonelli Editore, è la mano che ha il potere di trasformare una tavola bianca nell’universo di Dylan Dog, darle tridimensionalità e poi precipitarla nell’incubo. Dall’esordio a soli vent’anni con i fumetti erotici della Edifumetto passa alla casa editrice Acme prima di essere assoldato tra i ranghi della Bonelli, dove gli vengono affidate le storie del neonato fumetto fantascientifico Nathan Never, del quale realizza alcuni dei migliori albi. Poi è la volta di Dylan Dog. Un destino prevedibile per colui che oggi è considerato il Maestro del fumetto gotico italiano, e che nutre per questa serie un amore totalizzante. Il battesimo del fuoco con l’investigatore di Craven Road avviene con il testo del gigante Tiziano Sclavi, creatore della serie. Da allora, Mari lavora incessantemente per restituire alla realtà il suo mistero – che è poi la missione stessa di quest’arte, quella che genera la partecipazione del lettore. Il tratto raffinato e pulito, ma allo stesso tempo ricco di intensità di un autore colto, con un approccio olistico allo scibile e una passione per la filosofia, in particolare quella greca. Tutti elementi che sedimentano sul fondo del suo stile, e ne costituiscono una base solida. Nicola, comincerei chiedendoti di introdurci a questa che è una forma d’arte ma anche di comunicazione, alle sue caratteristiche e alla sua evoluzione. Come è nata e come è cambiata questa disciplina, nella tecnica e nel fare presa sulla società, e qual è il suo pubblico? Il termine “fumetto” nasce nel 1895, quando il disegnatore americano Richard F. Outcault ebbe l’idea di inserire i dialoghi dei personaggi all’interno di una nuvoletta di fumo, da cui il termine. Ma le origini del fumetto in senso più ampio si potrebbero, addirittura, far risalire alle pitture rupestri preistoriche o, proseguendo per ampi balzi temporali, ai pittogrammi dei geroglifici, in cui il linguaggio era affidato alle immagini. Arrivando fino al Medioevo, in cui la vita dei santi era spesso narrata da illustrazioni in sequenza tra loro, o dalle parole dipinte con l’oro che uscivano dalle loro bocche, nelle rappresentazioni sacre delle cattedrali gotiche. La narrazione affidata al fumetto prosegue nella prima metà dell’Ottocento con i romanzi “disegnati” del ginevrino Rodolphe Töpffer, per poi innestarsi nei fumetti di Winsor McCay e del pittore Lyonel Feininger, agli albori del ventesimo secolo – quando il fumetto, insieme al cinema, diventa un fenomeno di massa in costante evoluzione e in grado di generare diversi approcci e diversi modi di definirsi, dai comics supereroistici americani, alle strips, alla bande dessinée francese, ai romanzi a fumetti (le graphic novels), al fumetto underground, e così via. A questa eterogeneità, tipica del fumetto, corrisponde un pubblico altrettanto eterogeneo. Una ricchezza semantica del fumetto, dunque, in grado di colmare la distanza che separa i diversi linguaggi che, nel loro insieme, partecipano all’organizzazione dell’immaginario collettivo, al modo attraverso cui una società legge se stessa. Il fumetto, dunque, è molto più presente nelle nostre esistenze di quanto non si creda, forse a confermare che nulla è più ignoto del noto. Stefano Santangelo Disegno divino e mano dell’uomo. Conversazione con Nicola Mari

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