Ossigeno

«Il mondo è tutto ciò che accade», scriveva Wittgenstein. E ciò che accade, a volte, assume connotati sorprendenti e contraddittori, che però, sommati, generano una nozione complessiva di senso, di completezza, anche nell’irrisolto. Incontrare Leonardo Caffo , uno dei pensatori radicali più interessanti sulla scena italiana, è un’occasione per conversare di filosofia in condizioni che, seppur per molti versi ordinarie, entrambi immediatamente decodifichiamo ( ontologicamente , mi verrebbe da dire, sorridendo) come di assoluto privilegio: due maschi bianchi occidentali, con un’istruzione, in un piacevole contesto universitario in un pomeriggio milanese nel quale l’inverno, per dirla con D’Annunzio, moriva assai dolcemente . Appena una settimana dopo questo incontro, sarebbe scoppiata devastante in Italia l’emergenza Coronavirus, e tutto sarebbe cambiato. Saremmo in un certo senso morti tutti, come metafora di un modo di vivere precedente. Il Covid-19 non c’era ancora ufficialmente, ma la visione di Caffo prevedeva già una riflessione sul nostro essere in relazione alla minaccia di una pandemia globale. Oggi mi è chiaro che, oltre che profetico, da questo punto di vista il nostro si è trattato di un incontro metaforico , ricco di sorprese e di contraddizioni produttive equindi, a sua volta, una metafora applicata («Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose», prosegue Wittgenstein) di ciò di cui parliamo – ossia, in una misura del tutto personale e parziale ovviamente, della filosofia in sé . La “Cosa in sé”, in fondo, è il grande mito filosofico, dalla Caverna di Platone fino agli Iperoggetti di Timothy Morton, passando per Kant e con l’amichevole partecipazione di Fruttero&Lucentini. Ma come è fatto un filosofo radicale? Come esiste all’interno di questo Mondo? Immaginarsi una versione colta del cantante Achille Lauro era un’ipotesi affascinante (e per certi versi, alla fine, neppure così sbagliata), ma Caffo – teorico, docente, pensatore militante e padre di una bambina – somiglia più a uno studente brillante e normalmente appariscente: maglione blu girocollo senza camicia, numerosi braccialetti al polso, occhialoni tondi con la montatura nera, immediata empatia umana. E, subito, ci troviamo a parlare di altri filosofi, come per esempio Paul B. Preciado , uno dei massimi pensatori viventi (e proprio a Wittgenstein mi aveva fatto pensare quando, qualche mese fa, lo avevo intervistato a Ferrara). «In fondo, la filosofia –mi ha detto Caffo parlando della definizione di spazio filosofico oggi – è semprestataqueer , solo che eraqueer prima che iniziassero a esserci le distinzioni disciplinari; quindi, in un certo senso, è la stessa filosofia che ha creato le discipline, e quando queste sono diventate autonome è rimasta comunque una struttura fastidiosa che le attraversa tutte, interrogandosi costantemente sulle loro condizioni di possibilità. Io credo molto in questo spazio queer, soprattutto oggi che sono saltate tutte le distinzioni disciplinari e tassonomiche. Preciado mi ha detto che a lui non importa di essere interdisciplinare, a lui interessa essere in-disciplinare , ossia stare dentro le discipline e fare esattamente come il transgender , quindi passando da una condizione all'altra». Provo a immaginare come sarebbestato un Hegel (o un Heidegger) in versione queer, il pensiero mi diverte molto però, confesso, non riesco a visualizzarne il contenuto; ma non importa, perché quello che a mano a mano comincio a percepire, stando di fronte a Leonardo Caffo, è la necessità delle contraddizioni , la loro irrinunciabile condizione di mediatori di fronte ai rischi di pensieri assoluti. Un esempio: «Dobbiamo provare a essere nel mondo in un modo completamente diverso – mi ha detto – ed è una sfida che non possiamo vincere, l'abbiamo già persa. La cultura ci ha sempre mostratoquello che abbiamo perso , scenari verso i quali saremmo dovuti andare se fossimo stati degli uomini di buona volontà e che non abbiamo la potenza di attraversare». Ecco, nella consapevolezza della impossibilità di vincere tale sfida sembrerebbe di cogliere una inutilità dell’azione, ma anche questa è una lettura imprecisa, perché la filosofia si muove lungo parametri diversi. «Se la società post-capitalista resiste – ha aggiunto Caffo, virando sui temi dell’iper-presente – se non si distrugge prima per motivi come crisi ambientale, guerre, virus (che è la cosa più probabile), se, come tutti ci auguriamo, queste cose non succedono perché siamo inguaribili ottimisti, sicuramente in queste condizioni i filosofi dovranno spiegare perché la vita umana trascende le contingenze che si è data giorno per giorno nelle varie epoche». NdR : abbiamo pronunciato la parola ‘virus’, quindi, prima che l’intervista riprenda il suo passo, devo fare un’aggiunta datata maggio 2020: il nostro incontro, come si diceva all’inizio, è avvenuto prima che in Italia scoppiasse l’emergenza Covid-19, prima del lockdown e prima che, come mi ha scritto qualche giorno fa un caro amico, noi ci distraessimo un attimo e succedesse la fine del mondo. Sono convinto che i concetti espressi da Caffo restino 111

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