Ossigeno

10 11 dalla sicilia a hong kong, nessuna mafia è infallibile. conversazione oxfordiana con federico varese sandro di domenico Federico Varese è Professore di Criminologia presso la facoltà di Sociologia dell’Università di Oxford. Nato a Ferrara il 12 novembre del 1965, dopo gli studi liceali e un Baccalaureato Internazionale al Lester Bowles Pearson College di Vancouver, si è laureato in Scienze Politiche all’Università di Bologna, ha conseguito un Master all’Università di Cambridge e pubblicato, nel 2001, la sua tesi di dottorato ottenuta in Sociologia, a Oxford, con il titolo The Russian Mafia . Da questo libro, edito dalla prestigiosa Oxford University Press, è nata la collaborazione prima, e l’amicizia in seguito, con John Le Carré, della cui tenuta in Cornovaglia è spesso ospite. Prima di ricoprire il suo attuale incarico a Oxford, ha insegnato Criminologia a Yale e al Williams College. Ha pubblicato per Einaudi Mafie in movimento (2011) e Vita di mafia (2017). Varese, i cui lavori sono tradotti e distribuiti in tutto il mondo, è inoltre Direttore dell’Extra-Legal Governance Institute presso l’Ateneo fondato da Enrico II d’Inghilterra, e Senior Research Fellow al Nuffield College di Oxford. Negli anni è stato autore di contributi per numerosi quotidiani italiani e internazionali, e tuttora collabora con La Stampa in Italia e con il Times Literary Supplement nel Regno Unito. A Oxford esiste una piccola stanza, di pochi metri quadrati, affacciata su un prato all’inglese dove in autunno può piovere ininterrottamente per giorni. Tre lati ospitano libri e fascicoli ben ordinati, impilati l’uno accanto all’altro. Il quarto, di fronte alla porta, si compone di un terzetto altrettanto interessante. A sinistra svetta un armadietto metallico, con in cima un tubo di palline da tennis gialle fluorescenti; al centro è sistemata una modesta scrivania di legno marrone con una sedia su rotelle; a destra si accomoda una soffice poltrona imbottita, che gode della luminosità sempre generosa dei cieli del Nord provvista dall’unica finestra. È qui – quando non è a giocare a tennis su qualche complicato campo in erba dal rimbalzo imprevedibile – che immagino Federico Varese a scrivere. Immerso nei volumi da cui trae nomi, date, dati e spunti per i suoi libri, di cui in questi anni si è nutrito tra gli altri anche David John Moore Cornwell, al secolo John Le Carré , l’ex spia inglese diventata autore di best sellers letti in ogni angolo del globo e, più recentemente, di soggetti per film e serie altrettanto famose. Ed è qui che il Professor Varese ha accolto le domande incuriosite, e inumidite da una pioggia incessante, che scandiscono questa conversazione piacevole con un uomo al quale, a soli cinquantacinque anni, si potrebbero già assegnare almeno tre titoli – tutti egualmente esatti, ma allo stesso tempo ingiusti, se riferiti ai lampi di una mente così brillante. Varese potrebbe essere definito come un ricercatore ossessivo, tanto insistente da esser stato capace di farsi invitare a cena da un boss della mafia russa soltanto per poterlo studiare più da vicino. Oppure come il più citato studioso italiano di crimine organizzato , l’unico ad aver portato questa materia in insegnamento prima a Yale e poi a Oxford . O ancora come un cinefilo accanito e massimo esperto italiano di film sul crimine prodotti nei cinque continenti, con una particolare predilezione per Clint Eastwood . La nostra intervista è cominciata, non a caso, dalla piccola stanza assegnata a Varese all’interno dell’esclusivo Nuffield College, sulla cui scrivania spiccava il poster di un metro per sessanta centimetri de Gli Spietati –quello in cui la mano di Eastwood impugna, dietro la schiena, un revolver Starr a doppia azione – per concludersi nella più moderna e spaziosa stanza della facoltà di Sociologia, sulla cui parete principale Eastwood e Volonté si dividono la scena nella locandina di Per un pugno di dollari . Poco distante è incorniciata la prima pagina del supplemento letterario del Times , con un articolo di Varese in copertina: Why the mafia must have home cooking . Partiamo da qui: quanto è importante il cibo per la mafia? Il cibo conta. �uesto articolo è del 2001; in quel periodo insegnavo negli Stati Uniti, dove c’è questa cittadina, Buffalo, al confine col Canada. �ui si era trasferita una delle famiglie storiche d’America, emigrate lì negli anni ‘10. Il boss che la fondò si trasferì da New York a Buffalo, e stette lì tutta la vita; una volta morto diventò boss suo figlio, e gestì una pizzeria considerata la migliore d’America. Io, ovviamente, sono andato in quella pizzeria a mangiare, ma nel frattempo anche il figlio era morto, e il nuovo boss era una terza persona non appartenente a quella famiglia. L’articolo si apre con questa pizzeria e racconta di quanto quella pizza fosse buona, per introdurre il tema fino a che punto può viaggiare il cibo? L’articolo verte proprio sui modi in cui le mafie migrino. In Ossigeno #06 abbiamo approfondito il risultato delle ricerche dell’IHME - Institute for Health Metrics and Evaluation su quanto sia importante non solo ciò che si mangia, ma anche su cosa non rientri – per tanti motivi, non da ultimo quello economico – nella dieta delle persone, come fibre, carne, frutta e frutta secca. I mafiosi di Cosa Nostra in questo sembrano non farsi mancare niente, anche perché i riti che lei identifica per contraddistinguere lemafie sembrano contemplare quasi sempre un momento conviviale. Il cibo è importante, e i mafiosi siciliani possiedono tratti caratteristici straordinari in questo. La mafia siciliana organizza delle gran cene. Delle schiticchiate , questa è la parola precisa che utilizzano. Si danno appuntamento in una villa in campagna, isolata, e cucinano. Tutti gli uomini, solo uomini, senza donne. Saper cucinare in queste situazioni conviviali è un plus, un dato positivo. Mi viene in mente �uei Bravi Ragazzi ; pare esistano addirittura ricette di ragù dei Bravi Ragazzi – quello con le polpette, cucinato da Ray Liotta, nel film di Martin Scorsese. Sì, e non solo. Perché poi, inqueste cene, i mafiosi cominciano persino a tirarsi del cibo, addosso o sulla tavola. E c’è finanche un antropologo americano che fu invitato a una di queste cene, descrivendole. Oltre a tirarsi il cibo, si travestono e fanno tipo delle carnevalate, vestiti anche da donna. �uindi questa cultura di soli uomini, questa cultura machista, di colpo vira e diventa tutt’altro. Aspetto piuttosto singolare della mafia, in particolare di Cosa Nostra. Ma, al di là del cibo, qual è secondo lei uno degli aspetti fondamentali che accomuna le mafie internazionali?

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