Ossigeno

34 35 federico tosi stimabile e inestimabile. dal profitto al valore dell’azienda Un’azienda deve mantenere la sua attività e generare una ricchezza aggiuntiva che spetta alla proprietà . Affermazione probabilmente riduttiva, ma certamente innegabile. Eppure, non sempre è stato così. Nel XIVsecolo, a risollevare Firenze dal crackdei suoi banchieri furono i resti diquell’imperoeconomico di mercanti che, nell’inseguire un’infinita ricchezza, si erano schiantati contro l’impoverimento della società. Le compagnie dell’epoca riemersero solo quando iniziarono a guardare alle loro città, a condividere i loro averi attraverso opere di sostegno al benessere e allo sviluppo economico e culturale della comunità. Sono nate in quel periodo istituzioni e strutture, per esempio in ambito sanitario, ancora oggi votate a quel servizio. Partendo da un’esigenza della società impoverita, le aziende di allora aggiunsero al profitto personale un fine sociale e di premura . Da questa vivacità economica, Firenze entrò nella meravigliosa era del Rinascimento . È dunque lunga secoli la tradizione di aziende con uno scopo ulteriore alla ricchezza della proprietà, e alcuni dei migliori esempi hanno saputo coincidere con i grandi momenti di cambiamento nella storia dell’umanità . Lecito, a questo punto, chiedersi come siamo giunti alla condizione odierna, e di aiuto è una sentenza del 1919, processo Dodge contro Ford . Nel 1916, con un capitale accumulato di sessanta milioni di dollari, Henry Ford dispose investimenti mirati all’aumento dei salari e all’abbassamento dei prezzi di vendita, affinché tutti potessero godere dei benefici di un’automobile e di una vita degna di tale nome. Per i suoi soci di minoranza, i fratelli Dodge, il vero scopo di un’azienda doveva invece essere la ricchezza del proprietario, e così citarono in giudizio il socio fondatore. Spiegò Ford in tribunale: «La mia ambizione è quella di dar lavoro a un numero ancora più alto di uomini, estendere i benefici di questo sistema industriale al maggior numero possibile di persone, aiutarli a migliorare la loro vita e la loro casa. Per questo, noi reinvestiamo nell’impresa la maggior quota dei nostri profitti». Il 7 febbraio del 1919, davanti alla Corte Suprema del Michigan, Henry Ford perse la causa . I punti di contatto con la Firenze del 1300 ci sono tutti: i limiti di una crescita come unica possibilità, le esigenze di una società che per tornare florida deve conoscere il benessere dei diritti più elementari. Si aggiunge oggi l’ insostenibilità del processo produttivo fine a se stesso . Il tempo ha dimostrato chequesto approccio non è più sopportabile. Lo dice il mercato, dove sempre più persone oltre al prodotto cercano altre risposte; lo dice, in maniera strutturata, la Doughnut Economy della Professoressa Kate Raworth. Docente alle Università di Oxford e Cambridge, Raworth ha sviluppato un nuovo design dell’economia, più libera dalla matematica (incapace di prevedere le conseguenze) e votata alla prosperità (e non più alla sola crescita). In questo modo, la Professoressa Raworth ha annientato il disegno economico del piano cartesiano rimodellandolo in una ciambella – quella, appunto, della Doughnut Economy. In questo nuovo design, la circonferenza interna della ciambella rappresenta il limite oltre il quale non si possono abbassare i diritti inviolabili dell’uomo, quali accesso al cibo e all’acqua, ai servizi essenziali, al voto e alle libertà personali. La circonferenza esterna definisce invece il confine entro cui bisogna fermarsi, prima che il consumo di suolo e risorse del pianeta incida irrimediabilmente sulla sopravvivenza dell’ecosistema. Nella pasta della ciambella c’è la sostenibilità. Se ogni attività dell’uomo, aziendale, comunale o nazionale si definisse all’interno di questo nuovo design, allora la sostenibilità diventerebbe un discorso concreto. Il rivoluzionario impulso che Raworth imprime all’economia mondiale, con una comunicazione virtuosa nello scopo ed eccezionale nel metodo, inizia a trovare, a un secolo dalla sentenza Ford- Dodge, aziende e città mosse dallo stesso scopo e illuminate da quella che è a oggi l’unica via di sviluppo: la condivisione della propria ricchezza, intesa come economica, ma anche di esperienza e conoscenza . �uesta è prosperità . Un tratto comune ai grandi interpreti di questo modo di fare azienda è l’incredibile vivacità comunicativa che si può manifestare promuovendo un valore , un obiettivo diverso dal profitto personale. Su certi temi è possibile un marketing spregiudicato nella violenza e nel colore, ed è sempre intensa e coinvolgente la capacità espressiva di certi messaggi, dove sono la sincerità e la priorità dello scopo a prendere la scena. Valori che vengono condivisi, affinché diventino un impegno di tutti. Giornalista applicato in ambito alimentare, all’inizio degli anni 2000 l’olandese Teun van de Keuken si autodenuncia dopo aver mangiato diciassette barrette di cioccolato . Il capo di autoaccusa è lo

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