Ossigeno

70 71 come eccellenza e arte, dal cinema, al costume, alla tecnica, e apponendoci un marchio: Made in Italy . Fu Renzo Zorzi , intellettuale veronese tra i più vicini ad Adriano Olivetti e direttore dal 1952 delle Edizioni di Comunità, il principale perno della strategia che spostò il baricentro della comunicazione olivettiana dalla pubblicità come arte, all’arte come pubblicità . Una strategia pienamente avallata da Adriano, che si fregiò di dire: « Le altre imprese finanziano le mostre d’arte, noi le organizziamo » (in: Bruno Caizzi, Gli Olivetti , ed. UTET, 1962). Zorzi – l’uomo che, prima di arrivare alla Olivetti, si assunse la responsabilità per la casa editrice De Silva di dare alle stampe Se questo è un uomo di Primo Levi, dopo chequesto era stato rifiutato da diverse altre case e suggerendone il titolo – in seguito alla morte improvvisa di Adriano si trasferì, nel 1965 e fino al 1986, in Olivetti, per ricoprire il ruolo di dirigente responsabile dell'immagine, del design e delle attività culturali promosse dalla società. Zorzi seppe essere il più raffinato creatore di una corporate image fondata sull’arte, raccogliendo il testimone di Adriano, indicando le direttrici a cui dovevano ispirarsi la comunicazione grafica ed editoriale, il disegno dei prodotti e i rapporti con la stampa, ma soprattutto organizzando grandi mostre internazionali, promuovendo iniziative di restauro e conservazione del patrimonio artistico italiano, contribuendo alla realizzazione di libri d'arte e oggetti strenna commissionati a grandi designer e artisti. Ed eccola, in Olivetti, l’arte come pubblicità, la più nobile declinazione di Capitalismo Artista, la più alta risposta all’esigenza umana di bellezza. Dobbiamo alla Olivetti il restauro dell’ Ultima Cena di Leonardo nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, che richiese un impegno lungo diciassette anni. Così come le dobbiamo, tra gli altri, il restauro della Cappella Brancacci e del Crocifisso di Cimabue a Firenze, dei Cavalli di San Marco a Venezia, della Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova, di oltre settanta affreschi, da Giotto a Pontormo, staccati e restaurati dopo l’alluvione di Firenze del 1966, fatti poi circuitare nei più grandi musei del mondo. Fu Olivetti a legare per primo all’arte le iniziative parallele di comunicazione aziendale. Sin dagli inizi degli anni ’50, sotto la spinta promotrice e mecenatista di Adriano, anche gli oggetti utilizzati come omaggi da destinare a clienti, fornitori o partner di rilievo rispecchiarono l’impegno artistico e culturale dell’azienda, attraverso la creazione di prodotti d’arte ad hoc . In principio furono i calendari , primo dei quali nel 1951, dopo la selezione e l’impaginazione raffinata di Giovanni Pintori su una serie di tavole di Henri Rousseau; da quel momento in poi, i calendari Olivetti acquistarono crescente credito nel mondo dell’arte e divennero vere e proprie raccolte di opere artistiche ad ampio raggio, la cui tiratura arrivò a superare le centomila copie diffuse, ogni anno consacrato a un artista o a un’opera di rilievo – dagli affreschi pompeiani a Raffaello, da Van Eyck a Vermeer, dalla pittura della scuola giapponese Nanban, a tavole inedite di Georges Braque, a Egon Schiele, sempre accompagnati dalle note critiche di Renzo Zorzi. Dal 1960, prese poi corpo la produzione di una serie di cadeaux di design originali , come tagliacarte o portamatite, spesso realizzati nell’azienda stessa e, nella maggior parte dei casi, disegnati da Nizzoli e Pintori, perfetti compendi dell’industrial design di cui la Olivetti è stata pioniera. Vennero poi le agende , che su disegno di Enzo Mari racchiudevano ogni anno opere di artisti emergenti a cominciare da Jean-Michel Folon, o rinomati come Balthus, Alberto Giacometti, Graham Sutherland. Cavalcando la stessa onda, nel 1972, Renzo Zorzi affidò alla gestione di Giorgio Soavi il progetto di pubblicare una serie di grandi opere letterarie e di farle illustrare, riprendendo la formula delle agende, con tavole appositamente realizzate da artisti contemporanei. Nacquero così i libri strenna Olivetti, che videro susseguirsi fino al 2005 copie da collezione come Le avventure di Pinocchio e le tavole di Roland Topor, Morte a Venezia e Rosario Morra, Il deserto dei Tartari ed Enrico Baj, Natale in Casa Cupiello con fotografie di Mario Carrieri, Bel Ami ritratto da Carlo Cattaneo, i Racconti di Pietroburgo e Milton Glaser. Una prestigiosa collezione d’arte , che affianca le opere commissionate per arredare le sedi Olivetti a quelle acquistate durante l’organizzazione delle numerose mostre prodotte dall’azienda, mette insieme Guttuso e Kandinskij, Nivola e Klee, Giacometti, Morandi e Sutherland, i Critofilm di Ragghianti e il cortometraggio Kyoto di Kon Ichikawa. Paesaggi, nature morte, figurazioni astratte e opere fotografiche, ancora oggi protagoniste di mostre legate al nome avanguardistico della Olivetti: è del 2018 Looking forward. Olivetti: 110 anni di immagine , alla GNAM - Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma; ha chiuso il 15 novembre 2020 Gianni Berengo Gardin e la Olivetti , negli spazi torinesi di Camera - Centro Italiano per la Fotografia. Ma nell’impegno di promozione e diffusione dell’arte come migliore comunicazione dello spirito Olivetti, ci fu di più. L’azienda non si limitò a organizzare mostre d’arte, come si inorgoglì di dire Adriano, ma seppe mettere in piedi quella che la grande critica d’arte Lea Vergine definì l’ultima avanguardia dell’arte contemporanea in Italia: la corrente artistica dell’ Arte Programmata . nella sua poesia. Sospesi sono i gradini della scala che fa da centro di generazione dello spazio e conduce all’ammezzato, dove si trovano i prodotti Olivetti; sospesa è la scultura in bronzo dorato commissionata ad Alberto Viani Nudo al sole su una base d’acqua raccolta in una vasca di marmo nero del Belgio, attorno alla quale Scarpa dichiarò di volere costruire il negozio, ragionando come per un allestimento museografico nel quali l’architetto eccelleva. C’è Venezia, nel logo dorato stilizzato della Olivetti e nel tappeto di tessere colorate che ti mantiene a terra e ti ricorda la sua dominazione bizantina; c’è Carlo Scarpa, nel suo essere un poetico artigiano dello spazio, e c’è la Olivetti, nella sua straordinaria sapienza costruttiva, capace di riempirti di feconda bellezza. Una bellezza, quella del metodo Olivetti, la cui spina dorsale è chiaramente l’ oggetto , la cui disciplina è dunque il design . In esso Adriano intuì una cifra capace di scardinare la piaga dell’alienazione, attraverso la soddisfazione nell’avere contribuito a produrre, e a mettere in circolo, bellezza; il design industriale, così, diventa etico. Ricordiamo ancora Enzo Mari, capofila dei designers Olivetti e vicinissimo ad Adriano – considerato esempio più unico che raro di rapporto virtuoso tra industria e design – che nel 2001, in occasione della presentazione del suo volume Progetto e Passione a Firenze, disse di non conoscere nessuna opera di grandi Maestri che non fosse basata totalmente su valori etici . E continuò: «Per me, ‘progetto’ vuol dire cambiare il mondo ». E ha cambiato il mondo, la Lettera 22 disegnata da Marcello Nizzoli, il più bell’oggetto del secolo e il più bell’oggetto dell’era adrianea, quello su cui non solo Hemingway, Kerouac, Roth e Pasolini hanno scritto pietre miliari, ma anche Cormac McCarthy, autore di capolavori come Non è un paese per vecchi e il Premio Pulitzer 2007 La strada . Capolavori usciti nel primo decennio del 2000, proprio da una Lettera 22. Che non rischia virus o trojan, che non teme blackout e copincolla altrui, che non distrae con le notifiche, ma che soprattutto, a fronte di un maggiore impegno, ti spinge a pensare a ciò che stai per scrivere. Attraverso di essa, Adriano Olivetti non solo incarnò il meglio del Capitalismo Artista, cannibalizzando i suoi stessi prodotti per un continuo miglioramento ed entrando nelle più grandi collezioni di arte internazionali, ma seppe dimostrare che l’italiano poteva essere la lingua della globalizzazione, purché – tenendo sempre dritta la barra sull’etica – questa venisse declinata in glocale . «�uesta macchina viene da Agliè 5 », fu lo slogan pubblicitario che accompagnò la Lettera 22 in giro per il mondo, a voler sottolineare che in essa era incorporato un lavoro,quello italiano, fatto di eccellenza tecnica ed estetica. Il metodo Olivetti seppe plasmare ogni tassello della produzione e della commercializzazione dei suoi prodotti: l’ultimo di questi, reso anch’esso arte e cultura, fu la pubblicità . dalla fabbrica olivettiana alla factory warholiana: l’arte è pubblicità Con l’avvento della borghesia, quando la vita è diventata consumo, il Capitalismo è diventato Artista, e il confine che delimitava arte e industria, e creazione e comunicazione, si è fatto sempre più sottile, al punto da far dire a Marshall McLuhan – padre della moderna comunicazione – che la pubblicità è la più grande forma d’arte del ventesimo secolo . In effetti lo è sempre stata, dalle committenze della Chiesa alle volontà del potere, per un semplice motivo: l’arte comunica , nel modo più immediato e più potente, perché la sua lingua universale è l’immagine. Ma se nel Capitalismo Artista la pubblicità è la più grande forma d’arte , in Olivetti fu vero anche il suo specchio: l’arte è stata la sua più grande forma di pubblicità (e non avrebbe potuto essere altrimenti, in un metodo, quello Olivetti, intriso di cultura). A persone corrisponde comunicazione – lo sappiamo bene, oggi, che ognuno fa prodotto di se stesso attraverso il proprio profilo social. Ma il metodo Olivetti è esemplare per la coerenza tra gli effettivi valori culturali dell’azienda e la sua, la prima, strategia di comunicazione . Un preciso leitmotiv connette l’architettura industriale, l’estetica dei prodotti, la grafica pubblicitaria ed editoriale e l’intensa attività culturale. Nell’house organ che celebrava i primi cinquanta anni Olivetti 1908-1958 , Costantino Nivola, ricordando il suo ruolo di direttore grafico all’Ufficio Sviluppo e Pubblicità, scrisse che Adriano Olivetti «esigeva che tutto l’aspetto visuale della Olivetti fosse fatto a livello artistico ». A partire dal 1938, con nomi come Nivola, Xanti Schawinsky, Marcello Nizzoli, Giovanni Pintori, l’ufficio grafico andò gradualmente sostituendo la figura della segretaria/manichino che campeggiava in tutte le pubblicità del settore, a favore di un’iconografia fatta di geometrie lievi, in cui le forme diventano stilizzate asciugandosi fino all’essenziale, per trasmettere immediatamente a livello visivo quei valori di raffinatezza e leggerezza che la Olivetti perseguiva anche a livello tecnico e meccanico. Un’iconografia che battezzò il Made in Italy oltreoceano nella navata principale, nel 1952 al MoMA di New York, con la mostra Olivetti: design in industry , dove gli allestimenti di Leo Lionni dialogavano con le grafiche di Nizzoli e Pintori, marcando lo sdoganamento di un preciso immaginario,quello italiano, associato a parole chiave 5 Agliè è un piccolo Comune del Canavese, non molto distante da Ivrea, in cui Adriano Olivetti aveva spostato il montaggio della Lettera 22, per essere di supporto contro la crisi che aveva investito il comune, quando lo stabilimento tessile della cittadina aveva dovuto chiudere. La Olivetti era immediatamente intervenuta per far sì che non si spezzasse l'equilibrio sociale del territorio.

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