30 31 Il corpo e il riparo. Arte contemporanea in difesa dei diritti umani Fabiola Triolo Che tu abbia il corpo. Che io sia per te il riparo. La storia dei diritti dell’uomo cammina con i corpi degli uomini, e come i corpi cresce, come i corpi si ferisce ma, come i corpi, guarisce. Purché i corpi sappiano averne cura. Le parole sono un volàno e, quando i corpi sono in grado di sceglierle, custodiscono significati preziosi. Esiste un’antichissima istituzione di ordine legale, risalente al Sacro Romano Impero e istituzionalizzata a partire dal 1679 per volere di Carlo d’Inghilterra – terra culla del Common Law, dei diritti connaturati agli uomini per il solo fatto di essere corpi – costruita su due parole, simboliche e potenti: è l’Habeas Corpus, che tu abbia il corpo. In suo nome, di fronte alla legge, il corpo è inviolabile e protetto dal sopruso, il diritto è al riparo dall’ingiustizia, la libertà continua a camminare, con i corpi e nei corpi, attraversando i secoli. Abbi il tuo corpo, nessuno possa mai toglierti arbitrariamente la dignità e l’integrità della tua persona. Agisci restando fedele ad esse e, in suo nome, io sarò per te il riparo. Sul fondamento dell’Habeas Corpus si sono edificate le dichiarazioni di indipendenza e le fonti del diritto di ogni ordinamento liberale, l’azione delle organizzazioni umanitarie e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. La stessa ONU sua firmataria prende corpo tre anni prima, mentre i corpi si rialzano dalla guerra, con il fine primario della promozione internazionale della pace, dunque per allargare il riparo dal corpo ai corpi, a tutti i corpi, unendo l’Habeas Corpus a quella che ogni credo riconosce come la Regola d’Oro: fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, sostrato fertile dell’Etica della Reciprocità. E c’è una sottile, eppure enorme differenza tra il polo positivo e quello negativo della Regola d’Oro: [+] fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te = il corpo dell’Altro come arricchimento [-] non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te = il corpo dell’Altro come limite corollario: nella reciprocità, polarizzarsi sempre verso il [+] 192 Stati appartenenti all’ONU, ognuno di essi firmatario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ma i diritti umani non appartengono agli Stati, che ne sono semmai garanti. Nelle parole di Eleanor Roosevelt, presidentessa della commissione che scrisse la Dichiarazione, «I diritti umani iniziano in piccoli luoghi, vicino a casa, così vicini e così piccoli che non si possono vedere su nessuna carta del mondo. Eppure si tratta del mondo della singola persona, il vicinato in cui vive, la scuola o l’università che frequenta, la fabbrica, la ditta o l’ufficio in cui lavora. �uesti sono i luoghi in cui ogni uomo, donna e bambino cercano giustizia, opportunità e dignità uguali, senza discriminazione. A meno che questi diritti non abbiano un significato in questi ambiti, essi avranno poco significato altrove. Senza attività coordinate dei cittadini per far sì che questi diritti vengano seguiti nel proprio ambiente, cercheremo invano progressi nel più vasto mondo». I diritti umani, allora, appartengono ai corpi. Anche e soprattutto ai corpi che non vediamo. Ai corpi dimenticati. Ai corpi provati, ai corpi privati. Ai corpi che non sono stati riconosciuti. Ai corpi di chi manifesta per altri corpi. Ai corpi giocati sul tavolo della politica, per impaurire, per mettere a tacere. Il Corpo di Cristo e il corpo di ogni povero cristo. Ai corpi di chi attraversa il dolore, la sofferenza, il buio, che erano il vero tema del referendum sull’eutanasia, rigettato con il risibile alibi di una sintassi sbagliata – come era già accaduto per il pur blando ddl Zan, perché le parole, per i corpi, possono essere migliore alleato ma anche peggiore nemico, quando non ci si polarizza verso il [+]. Come si sta vicini a un corpo che soffre? Con quale compassione? Con quale amicizia? Con quale diritto si può condannare senza appello l’altrui corpo? Sul suo corpo ho visto tutto il male del mondo, sono state le parole della madre di Giulio Regeni davanti alla deposizione del corpo del figlio, depredato dell’Habeas Corpus, della Pietas e ancora in cerca di diritti. Forse, più che di una dichiarazione dei diritti, abbiamo bisogno di una dichiarazione dei doveri, perché ogni volta che un diritto viene calpestato, svuotandolo a sterile astrazione, qualcuno non ha fatto il suo dovere. Il dovere di difendere ogni singolo corpo. Con la sua unica storia. Con la sua unica pelle. Pelle, cassa di risonanza e superficie di profondità di ogni corpo, come scrisse Paul Valéry: «Il più profondo è la pelle». Pelle come interfaccia con il mondo, attraverso cui leggere e interpretare il profondo: ed eccola, l’arte, pelle dell’immaginario, nella sua funzione simbolica e profondamente
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