Ossigeno

3 OSSIGENO Elements of life

La cifra tonda è un assist per la memoria e quando rappresenta un traguardo intermedio, l’effetto milestone rimarca il risultato di tutto il percorso. Le cifre tonde hanno i riflettori dell’aspettativa, la nostra è quella di essere di utilità nel presentare esempi e strategie con cui formare il mondo che immaginiamo tra cinque anni. Per farlo, le relazioni uomo/uomo e uomo/natura sono i campi da gioco. Il primo numero di Ossigeno è connesso all’alimentazione, sottofondo tematico che accompagna le uscite successive, con un’argomentazione del benessere legata al corpo, alla mente e all’ambiente. Con passi ragionati e decisi, l’osservazione di Ossigeno si è aggiornata, entrando in chiave tecnica sugli argomenti ambientali e sociali, coinvolgendo direttamente accademici, manager, filosofi e scrittori, autori o interpreti di quegli esempi che vogliamo portare in discussione e su cui attivare un maggior coinvolgimento della consapevolezza pubblica. Con obiettivi aggiornati nel corso del tempo e delle esigenze, gli esempi artistici e strategici sono dunque i protagonisti dell’intero percorso editoriale, di cui oggi sfogliamo la decima pubblicazione. �ui l’etica dell’uomo è in parallelismo con quella delle piante, secondo il botanico e saggista StefanoMancuso, e viene raccontata nell’atto pratico da Hilary Jones, ethical manager di Lush. L’ambiente è l’altro pilastro tematico di Ossigeno: in questo numero iniziamo a tratteggiarlo con la prospettiva di Masanobu Fukuoka e sotto la guida dell’illustratore Nicola Mari, con il cambiamento climatico affidato di volta in volta al disegno delle più sensibili firme del fumetto. Dal primo numero, i ritratti di artista rappresentano la più intima guida del pensiero: la collezione prosegue ingaggiando uno specifico percorso, mettendo a fuoco l’arte in chiave di diritto, umano. Round number is an assist for memory and when it represents an intermediate goal, the milestone effect is liable to highlight the result of the entire course. Round numbers do hold the spotlight of expectation, ours is to be useful in presenting examples and strategies able to shape the world we imagine in five years. In order to do this, relationships man-toman and man-to-nature are the ideal terrains. The first issue of Ossigeno was connected to nutrition, a thematic background that accompanied our subsequent releases, with a focus on well-being linked to the body, mind and environment. Through reasoned and decisive steps, Ossigeno's observation has been updated, exploring environmental and social topics in technical terms, directly involving academics, managers, philosophers and writers, authors or interpreters of those examples we want to bring into discussion and on which to activate greater involvement of public awareness. With objectives updated over time and needs, the artistic and strategic examples are therefore protagonists of our entire editorial path, which has today fulfilled its tenth publication to be leafed through. Here the ethics of men is in parallel with that of plants, according to the botanist and essayist Stefano Mancuso, and is told in the practical act by Hilary Jones, ethics director at Lush. Environment is the other thematic pillar of Ossigeno: in this issue we begin to outline it through Masanobu Fukuoka's perspective and under the guidance of the illustrator Nicola Mari, with climate change entrusted time after time to the drawing of the most appreciable comics signatures. Since the first issue, artist's portraits represent our most intimate guide of thought: our collection continues following a specific path, focusing on art in the key of right, of human right. Mario Zani

A imitar le piante. Conversazione con Stefano Mancuso Leonardo Merlini L’uomo e l’etica delle piante: evoluzione e sopravvivenza indissolubilmente legate al rispetto dell’ambiente circostante e a un utilitarismo che utilitarismo non è. La diversa idea di evoluzione con lo scienziato Stefano Mancuso. Fighting Animal Testing: l’attivismo elevato a emblema. Conversazione con Hilary Jones, direttrice etica di Lush Sandro Di Domenico Un valore come elemento differenziante. Conversazione con Hilary Jones, direttrice etica di Lush, su tempeste, tecniche e risultati di una comunicazione combattiva. Il corpo e il riparo. Arte contemporanea in difesa dei diritti umani Fabiola Triolo Il capitolo introduttivo di un percorso di riflessione che Ossigeno qui intraprende sull’intima relazione tra diritti umani e arte contemporanea, tra il corpo e il riparo, perché il pensiero critico è la più grande linea di difesa dell’umanità. Disegno divino e mano dell’uomo. Conversazione con Nicola Mari Stefano Santangelo Il cambiamento climatico tratteggiato con gli occhi e le linee dei fumettisti. Insieme a Nicola Mari, Ossigeno inaugura un percorso che affronta il tema attraverso la forza e la sensibilità dell’illustrazione. Agricoltura e suolo: i risultati, inattesi, del non-fare Federico Tosi L’agricoltura secondo Masanobu Fukuoka: osservare la natura delle piante, mettere in pausa la conoscenza acquisita e riprendere in mano il valore dei sensi per migliorare il suolo e le coltivazioni. Made in Italy© – Handle with care Mustafa Sabbagh Il Futuro come merce da banco: la riflessione artistica di Mustafa Sabbagh sul più fecondo prodotto esistente, quello della gioventù, da maneggiare con imprescindibile cura. To imitate plants. A conversation with Stefano Mancuso Leonardo Merlini Man and the ethics of plants: evolution and survival, inextricably linked to respect for the surrounding environment and to a utilitarianism that is not utilitarian. The different idea of evolution coming from the scientist Stefano Mancuso. Fighting Animal Testing: when activism is raised to emblem. A conversation with Hilary Jones, Lush ethical director Sandro Di Domenico One precise value as a differentiating element. Our conversation with Hilary Jones, ethical director at Lush, about storms, techniques and the results of a militant communication. The body and the shelter. Contemporary art in defense of human rights Fabiola Triolo The introductory chapter of a path of reflection that Ossigeno here undertakes on the intimate relationship between human rights and contemporary art, between the body and the shelter, because critical thought is humankind's greatest line of defense. Divine drawing and human hand. A conversation with Nicola Mari Stefano Santangelo Climate change outlined through the eyes and traits of cartoonists. Together with Nicola Mari, Ossigeno inaugurates a path dealing with the subject through the strength and sensitivity of illustration. Farming and soil: the unexpected results of the do-nothing Federico Tosi Agriculture according to Masanobu Fukuoka: observing the nature of plants, pausing the acquired knowledge and taking back the value of the senses in order to improve both the soil and the farming. Made in Italy© – Handle with care Mustafa Sabbagh Future as an over-the-counter commodity: Mustafa Sabbagh's artistic reflection on the most fruitful existing product, that of youth, to be handled with vital care. 06 16 30 124 134 142 12 24 38 130 138 144 O10 visuals: Veronica Barbato, Empireo project, 2021

6 7 A imitar le piante. Conversazione con Stefano Mancuso Leonardo Merlini Stefano Mancuso & Carsten Höller, The Florence Experiment, 2018 Two steel + polycarbonate slides twisted together, height: 20 mt., length: 50 mt. Installation view in the courtyard of Palazzo Strozzi, Florence – credits: Martino Margheri

22nd Triennale Milano International Exhibition: La Nazione delle Piante, curated by Stefano Mancuso, 2019 Installation view at Triennale Milano, environmental dimensions © Triennale Milano – credits: Gianluca Di Ioia

12 13 To imitate plants. A conversation with Stefano Mancuso Leonardo Merlini Stefano Mancuso & Carsten Höller, The Florence Experiment, 2018 Laboratory for the analysis of 10,000 bean plants (detail): LI-6800F Portable Photosynthesis System, PTR-TOF 8000 System for real-time trace gas analysis of VOCs, three shelves with plant growth benches, lab equipment Installation view at Strozzina, Florence – credits: Attilio Maranzano

17 Sandro Di Domenico Fighting Animal Testing: l’attivismo elevato a emblema. Conversazione con Hilary Jones, direttrice etica di Lush Mentre la Tempesta Eunice colpisce il Dorset, con raffiche di vento che superano i 100 chilometri orari, Hilary Jones tiene d’occhio le grandi finestre di casa. Con l'altro occhio segue i movimenti incerti della sorella, che si è rotta una gamba cadendo dalle scale. La stessa giovane donna idealista che ha lasciato questa verde contea nel sud-ovest dell'Inghilterra circa trent'anni fa, un giorno è tornata e ora è proprio lì, catturata dal potere della natura. Curiosa coincidenza per lei, che ha lottato un'intera vita per proteggere la natura stessa attraverso le battaglie di Lush, il più famoso brand di cosmetici naturali. Hilary Jones è la direttrice etica che si cela dietro il miracolo delle strategie di comunicazione di Lush. In un mercato che prima della pandemia valeva quasi 350 miliardi, il solo fatturato di Lush nel 2019 ammontava a 1 miliardo e 180 milioni di euro. Con tre grandi tratti che marcano la differenza da brand più noti come Avon, L'Oréal o Revlon. Il primo: combattere la sperimentazione sugli animali. Il secondo, di conseguenza: non vendere un solo sapone, crema o shampoo in Cina, rinunciando a 1 miliardo 389 milioni di potenziali consumatori. L'ultimo: chiudere per scelta i social media legati al brand –salvo ritornare dopo la pandemia. Ognuna di queste tre scelte uniche e coraggiose ha portato la sua firma. Benvenuta a Ossigeno, Hilary Jones. Grazie per l’invito. Sono in una piccola casa circondata da alberi enormi, e l'ultima volta che il Regno Unito ha dovuto sopportare una tempesta così forte è stato nel 1987, quindi... cercherò di ignorarlo rispondendo alle tue domande. Vorrei cominciare dai primissimi passi. La tua storia con Lush: quando e perché è iniziata? Beh, in realtà ero un'attivista a tempo pieno, non lavoravo. E come sai, a un certo punto finisci per dover necessariamente procurarti da vivere. �uindi, in pratica, ho cercato un'azienda che potesse non contraddire i miei valori personali. E se sei una persona a cui importa del mondo, questo può diventare discretamente difficile. Stiamo parlando degli anni '90, quando le aziende sostanzialmente non avevano nessuna missione. La loro missione era – beh, spesso la loro missione è ancora… – esclusivamente fare soldi, nient'altro. �uindi, immaginare l’inserimento in un posto unicamente attento al fatturato era davvero problematico per me, in quanto portatrice di opinioni nette. Per il tuo storico di attivista? Ero un'attivista contro la guerra, un'attivista per i diritti degli animali, un'attivista ambientale. Ero nei campi di protesta e immersa in tutto quel genere di battaglie, costantemente. �uindi, passare da questo al dover guadagnarsi da vivere, e trovare un posto dove avrei potuto farlo sentendo che non stavo scendendo a patti con i miei ideali, mi lasciava davvero poca scelta. La fortuna mi ha aiutato nello scoprire che nella città di Dorset, dove mi trovo ora e dove si trova la mia famiglia, c'era una piccola azienda di cosmetici vegan che aveva appena aperto. E io sono vegana dal 1987. Un’azienda molto vicina ai miei ideali, in un periodo in cui le aziende vegan erano davvero rare. Ti sei sentita a casa... Avevo la sensazione che tenessero alle stesse cose a cui tenevo io. Di conseguenza, ho inviato la mia candidatura. Da lì è partito tutto. All'inizio sono stati assunti quattro membri dello staff, e io ero una di loro. Il mio amico Wesley, che ora crea prodotti per Lush, era uno degli altri tre. Entrambi siamo ancora in azienda, ed entrambi siamo rigorosamente vegani. E sono stata davvero fortunata a trovare un'azienda che avrebbe accettato le nostre reprimende. Abbiamo presentato i nostri valori, loro hanno presentato i loro, ma poi abbiamo sempre entrambi spinto in avanti. E la compagnia è cresciuta esponenzialmente. Voglio dire, la storia di successo di Lush è semplicemente straordinaria. È un marchio che ha realmente lavorato duro per emergere. Al mio ingresso, Lush aveva solo due piccoli negozi e stavamo appena iniziando a pianificare l’apertura di un terzo negozio a Londra. Da una realtà così modesta abbiamo letteralmente preso il volo, siamo diventati internazionali, e io sono stata lì per tutta la durata del viaggio. Sai, è come decollare con un razzo nello spazio. È stato un salto nel buio, soprattutto per una come me. �uindi, per una come chi? Beh, non avevo un background aziendale né tantomeno lavorativo, ma avevo molte opinioni che fortunatamente i proprietari di Lush hanno ascoltato, nel corso degli anni. �uindi, quando l'azienda ha cominciato a crescere e io ero meno impegnata nelle questioni più pratiche, mi hanno affidato un ruolo esclusivamente attento all'etica. Di conseguenza, credo di aver portato la mia etica nel business – ma, fondamentalmente, questa combaciava perfettamente anche con l'etica dei fondatori e dei proprietari. 16

20 21 Negli stessi anni avete lanciato le vostre prime campagne “shock”… Il motivo per cui abbiamo realizzato quelle cosiddette comunicazioni "scioccanti" è, linearmente, perché non dovrebbero esserlo. Perché se siamo disposti a fare questo tipo di cose, non siamo altro che specisti. Se siamo disposti a catturare gli squali con gli ami e a tagliare loro le pinne, perché dovrebbe essere inaccettabile farlo a un essere umano? E se siamo disposti a iniettare sostanze chimiche agli animali, a radere loro la pelle, a graffiarla e a strofinarci sopra dei prodotti, perché a noi no? Perché diventa scioccante quando lo facciamo agli umani? Abbiamo gli stessi recettori del dolore di un coniglio. O di una cavia. È orribile morire di avvelenamento, che tu sia un topo o un essere umano. Allora perché non è scioccante quando succede a un animale, ma lo è in rapporto a una persona? A volte, è necessario innescare quella connessione affinché le persone possano davvero fermarsi e pensare: «Perché dovrebbe essere accettabile? Perché ci è stato detto che va bene, e siamo andati tranquillamente avanti con le nostre vite, e non l'abbiamo mai messo in discussione?». �uindi, quando lanciamo quel tipo di campagne shock, stiamo solo chiedendo alle persone di mettere tutto in discussione. E a volte, per farlo, devi usare la strada dell’Immagina se questo fosse un essere umano. Posso chiedertiqual èstata la reazione a breve e a lungo termine delle persone? Posso immaginare che tu abbia avuto anche molta cattiva pubblicità di fronte a questo. Sì, siamo stati attaccati. Abbiamo avuto attacchi nei nostri negozi. Sono stati vandalizzati. Hanno minacciato il nostro staff. Tu puoi immaginarlo, a noi è successo. Ho avuto io stessa minacce personali, e abbiamo anche ricevuto telefonate anonime ai nostri negozi che dicevano: «Sappiamo a che ora chiude il negozio. Stai attento, tornando a casa. Perché siamo fuori e ti stiamo guardando». �uindi, minacce vere e proprie. Ma penso che, a lungo termine, anche le persone che ci odiano sappiano che diciamo quello che pensiamo, e agiamo di conseguenza. Cavalchiamo la tempesta. E, sai, alcune persone ci accusano di farlo per un ritorno pubblicitario. Voglio dire, bisogna essere matti a pensare davvero che sia facile trovarsi nell’occhio di un tale ciclone. E quali sono stati, finora, i risultati delle vostre campagne contro la sperimentazione animale? C’è stata l'enorme vittoria pubblica nella formalizzazione della Direttiva Europea sui Cosmetici. Ora c'è un divieto totale di sperimentazione sugli animali. E questo ha cambiato le modalità di testing cosmetici in tutto il mondo, perché altri mercati hanno dovuto adeguarsi. Noi siamo scesi in campo, lottando attivamente durante tutto quell’arco di tempo, da soli, tuttavia quella vittoria non appartiene solo a noi. Era il pubblico, il pubblico acquirente che chiedeva un cambiamento, e che lo esigeva dai suoi legislatori. Perché è sempre bifronte: bisogna fare in modo che le aziende smettano di farequeste cose e, allo stesso tempo, farvi adattare la legislazione. È l'unico modo per fermare la frana. Il che mi porta alla domanda su un'altra azienda che abbiamo ospitato in Ossigeno: Tony's Chocolonely. Abbiamo parlato con loro, nella scorsa pubblicazione, della loro lotta alla schiavitù nel mercato del cioccolato, ed ero curioso di sapere se aziende etiche come Lush e Tony's intrattengono una sorta di relazione. Una specie di Lega degli Avengers delle aziende etiche... Ad esempio, loro prestano particolare attenzione alla loro filiera, a curare ogni passaggio per non essere coinvolti nello sfruttamento di persone o di risorse in Africa, o in Sud America. Ingenuamente, quando sono entrata in azienda, pensavo che le imprese etiche avrebbero dovuto parlarsi e scambiarsi informazioni. In realtà, non sempre funziona così. Anche per quanto riguarda i test sugli animali, non ottieni molti risultati, sai, dicendo: «Oh, abbiamo trovato un ottimo fornitore che non fa test, dovresti usarli anche tu!». Di certo, però, con Tony's abbiamo parlato di filiera, perché anche noi abbiamo lavorato per anni, come loro, cercando di assicurarci che il nostro burro di cacao fosse tracciabile e trasparente. Facciamo approvvigionamento diretto. Abbiamo anche acquistato burro di cacao da villaggi di pace in Colombia, e da altri posti dello stesso tipo, dove conosciamo le persone che raccolgono e lavorano le fave di cacao. Ma il cacao non è l'unico ingrediente. Ci sono tanti ingredienti che monitoriamo costantemente. Tony’s Chocolonely è un'ottima azienda, e si preoccupano davvero della catena di approvvigionamento. Quindi, sì, abbiamo avuto molti scambi proficui con loro. In definitiva, perché un'azienda dovrebbe rappresentare un valore, anziché un prodotto? Come possono altri farequello che avete fatto voi, nel loro segmento, se tu potessi dare loro un consiglio? Penso solo che, a volte, ci sono cose più importanti della tua azienda. Ed è il caso di riconoscerlo. La lotta contro la sperimentazione sugli animali è più importante di Lush. E la sua missione è più importante della missione di Lush. �uindi non vorremmo brandizzare anche questo. Penso che se tieni davvero a qualcosa, dovresti preoccupartene a pieno titolo. Non gira tutto intorno all'azienda. Non gira tutto intorno alla costruzione del brand e alla realizzazione degli utili. Alcune cose li sovrastano, e se ci tieni davvero, allora fai pressione sulla tua esperienza, per fare vera pressione. Webliografia www.statista.com/statistics/892454/lush-cosmetics-limited-revenue-by-country/ www.business-essay.com/lush-cosmetics-company-analysis/ www.alliedmarketresearch.com/cosmetics-market www.statista.com/statistics/892361/turnover-lush-cosmetics-limited-worldwide/ FIGHTING ANIMAL TESTING

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28 29 careful walking home. Because we're outside and we're watching you». So, proper threats. But I think in the long term, even people that hate us know that we say what we think, and we follow through. We ride the storm. And, you know, some people accuse us of doing it for the publicity. I mean, they have to be mad, if they really think that it’s an enjoyable place to be in the eye of a storm like that. And what have been, so far, the results of your campaigns against animal testing? There was the huge public victory in the formalization of the European Cosmetics Directive. Now, there’s a total ban on animal testing. And that has changed cosmetics testing around the world, because other markets raced to catch up. We were part of that. We were campaigning all that time, by ourselves, but in no way that victory just belongs to us. That was the public, the buying public demanding for a change, and demanding it of their legislators. Because it's always two-pronged: you need to make sure that companies stop doing these things and, at the same time, to bring legislation. It's the only way to stop the slide. This brings me to a question about another company we hosted in Ossigeno: Tony’s Chocolonely. We talked to them, in our previous issue, about their anti-slavery effort in the chocolate market, and I was curious to know if ethic companies like Lush and Tony’s entertain sort of relationship. We could call it an Avengers League of ethical companies... For example, they pay particular attention to their supply chain, to look after every passage as not to be involved in the, uh, exploitation of people or resources in Africa, or in South America. Very naively, when I first came into business, I thought that ethical companies should have been talking to each other, and share information. And, of course, it doesn't really happen. Even on animal testing, you don't get much swap over of, you know, saying: «Oh, we found a great supplier who doesn't test, you should use them as well!». But certainly, with Tony's we've spoken about supply chain, because we too have worked for years, as have they, trying to make sure that our cocoa butter is traceable, and that it has accountability. We do a lot of direct sourcing. We've even sourced cocoa butter from peace villages in Colombia and, you know, places like that, where we know the people picking and processing the cocoa beans. But cocoa is not the only ingredient. There are many of these ingredients that we have to constantly monitor. Tony's are a great company, and they really do care about supply chain. So, yeah, we've had a lot of fruitful conversations with them. Ultimately, why a company should stand for a value, instead of a product? How can others do what you did, in their market, if you should give them an advice? I just think that sometimes things are bigger than your company. And it's just a case of recognising that. The fight against animal testing is bigger than Lush. And its mission is more important than Lush mission. So we wouldn't want to brand that. I think if you really care about something, you should care about it in its own right. Not everything is about the company. Not everything is about brand building and profit making. Some things supersede that, and if you really care about it, then push all of your experience into really pushing that. Webliography www.statista.com/statistics/892454/lush-cosmetics-limited-revenue-by-country/ www.business-essay.com/lush-cosmetics-company-analysis/ www.alliedmarketresearch.com/cosmetics-market www.statista.com/statistics/892361/turnover-lush-cosmetics-limited-worldwide/

30 31 Il corpo e il riparo. Arte contemporanea in difesa dei diritti umani Fabiola Triolo Che tu abbia il corpo. Che io sia per te il riparo. La storia dei diritti dell’uomo cammina con i corpi degli uomini, e come i corpi cresce, come i corpi si ferisce ma, come i corpi, guarisce. Purché i corpi sappiano averne cura. Le parole sono un volàno e, quando i corpi sono in grado di sceglierle, custodiscono significati preziosi. Esiste un’antichissima istituzione di ordine legale, risalente al Sacro Romano Impero e istituzionalizzata a partire dal 1679 per volere di Carlo d’Inghilterra – terra culla del Common Law, dei diritti connaturati agli uomini per il solo fatto di essere corpi – costruita su due parole, simboliche e potenti: è l’Habeas Corpus, che tu abbia il corpo. In suo nome, di fronte alla legge, il corpo è inviolabile e protetto dal sopruso, il diritto è al riparo dall’ingiustizia, la libertà continua a camminare, con i corpi e nei corpi, attraversando i secoli. Abbi il tuo corpo, nessuno possa mai toglierti arbitrariamente la dignità e l’integrità della tua persona. Agisci restando fedele ad esse e, in suo nome, io sarò per te il riparo. Sul fondamento dell’Habeas Corpus si sono edificate le dichiarazioni di indipendenza e le fonti del diritto di ogni ordinamento liberale, l’azione delle organizzazioni umanitarie e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. La stessa ONU sua firmataria prende corpo tre anni prima, mentre i corpi si rialzano dalla guerra, con il fine primario della promozione internazionale della pace, dunque per allargare il riparo dal corpo ai corpi, a tutti i corpi, unendo l’Habeas Corpus a quella che ogni credo riconosce come la Regola d’Oro: fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, sostrato fertile dell’Etica della Reciprocità. E c’è una sottile, eppure enorme differenza tra il polo positivo e quello negativo della Regola d’Oro: [+] fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te = il corpo dell’Altro come arricchimento [-] non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te = il corpo dell’Altro come limite corollario: nella reciprocità, polarizzarsi sempre verso il [+] 192 Stati appartenenti all’ONU, ognuno di essi firmatario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ma i diritti umani non appartengono agli Stati, che ne sono semmai garanti. Nelle parole di Eleanor Roosevelt, presidentessa della commissione che scrisse la Dichiarazione, «I diritti umani iniziano in piccoli luoghi, vicino a casa, così vicini e così piccoli che non si possono vedere su nessuna carta del mondo. Eppure si tratta del mondo della singola persona, il vicinato in cui vive, la scuola o l’università che frequenta, la fabbrica, la ditta o l’ufficio in cui lavora. �uesti sono i luoghi in cui ogni uomo, donna e bambino cercano giustizia, opportunità e dignità uguali, senza discriminazione. A meno che questi diritti non abbiano un significato in questi ambiti, essi avranno poco significato altrove. Senza attività coordinate dei cittadini per far sì che questi diritti vengano seguiti nel proprio ambiente, cercheremo invano progressi nel più vasto mondo». I diritti umani, allora, appartengono ai corpi. Anche e soprattutto ai corpi che non vediamo. Ai corpi dimenticati. Ai corpi provati, ai corpi privati. Ai corpi che non sono stati riconosciuti. Ai corpi di chi manifesta per altri corpi. Ai corpi giocati sul tavolo della politica, per impaurire, per mettere a tacere. Il Corpo di Cristo e il corpo di ogni povero cristo. Ai corpi di chi attraversa il dolore, la sofferenza, il buio, che erano il vero tema del referendum sull’eutanasia, rigettato con il risibile alibi di una sintassi sbagliata – come era già accaduto per il pur blando ddl Zan, perché le parole, per i corpi, possono essere migliore alleato ma anche peggiore nemico, quando non ci si polarizza verso il [+]. Come si sta vicini a un corpo che soffre? Con quale compassione? Con quale amicizia? Con quale diritto si può condannare senza appello l’altrui corpo? Sul suo corpo ho visto tutto il male del mondo, sono state le parole della madre di Giulio Regeni davanti alla deposizione del corpo del figlio, depredato dell’Habeas Corpus, della Pietas e ancora in cerca di diritti. Forse, più che di una dichiarazione dei diritti, abbiamo bisogno di una dichiarazione dei doveri, perché ogni volta che un diritto viene calpestato, svuotandolo a sterile astrazione, qualcuno non ha fatto il suo dovere. Il dovere di difendere ogni singolo corpo. Con la sua unica storia. Con la sua unica pelle. Pelle, cassa di risonanza e superficie di profondità di ogni corpo, come scrisse Paul Valéry: «Il più profondo è la pelle». Pelle come interfaccia con il mondo, attraverso cui leggere e interpretare il profondo: ed eccola, l’arte, pelle dell’immaginario, nella sua funzione simbolica e profondamente

siamo tutti liberi e uguali Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. we are all free and equal All human beings are born free and equal in dignity and rights. They are endowed with reason and conscience and should act towards one another in a spirit of brotherhood. I (pp. 40-41) Georg Baselltz, Oh Schande – Fällt von derWand nlcht –Was ist gewesen, vorbel – Keln Papst lstAvlgnon – Amung, Lennung, alles zusammen, 2014 Eight self-portraits on octagonal space (detail), oil on canvases, 480 x 300 cm each Installation view from the 56th International Art Exhibition – Venice Biennale All the world’s futures, curated by Okwui Enwezor, 2015 ©Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC | photo by Alessandra Chemollo

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42 43 non discriminare A ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità. do not discriminate Everyone is entitled to all the rights and freedoms set forth in this Declaration, without distinction of any kind, such as race, colour, sex, language, religion, political or other opinion, national or social origin, property, birth or other status. Furthermore, no distinction shall be made on the basis of the political, jurisdictional or international status of the country or territory to which a person belongs, whether it be independent, trust, non-self-governing or under any other limitation of sovereignty. II Jusepe de Ribera, Cristo Deriso (The Mocking of Christ) , 1620-1624 Oil on canvas, cm 106 x 87 Private collection

48 49 nessuna tortura Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumane o degradanti. no torture No one shall be subjected to torture or to cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. V Zharko Basheski, Out of…, 2018 – polyester resin, silicone, real hair, 280 x 195 x 74 cm Zharko Basheski, Self-portrait 1, 2010 – polyester resin, silicone, real hair, 105 x 45 x 52 cm Installation view from the exhibition Corpus Domini. Dal corpo glorioso alle rovine dell’anima, curated by Francesca Alfano Miglietti, Palazzo Reale, Milan, 2021 credits: Edoardo Valle – courtesy: the artist

83 libertà di espressione Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non esseremolestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere. freedom of expression Everyone has the right to freedom of opinion and expression; this right includes freedom to hold opinions without interference and to seek, receive and impart information and ideas through any media and regardless of frontiers. XIX Pier Paolo Pasolini, Autoritratto con fiore in bocca, 1947 Oil on hardboard, 42.4 x 34.5 cm © Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux (Florence)

102 103 diritto alla cultura + diritti d'autore 1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici. 2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali emateriali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore. right to culture + copyright 1. Everyone has the right freely to participate in the cultural life of the community, to enjoy the arts and to share in scientific advancement and its benefits. 2. Everyone has the right to the protection of the moral and material interests resulting from any scientific, literary or artistic production of which he is the author. XXVII Lyle Ashton Harris, Lyle, London, 1992, 2015 C-print, 52.1 x 38.1 cm – ed. of 3 + 2 AP courtesy: the artist, Salon 94 (New York)

116 117 The body and the shelter. Contemporary art in defense of human rights Fabiola Triolo May you have the body. May I be your shelter. The history of human rights walks with the bodies of human beings, and like the bodies it grows, like the bodies it gets injured but, like the bodies, it heals. As long as the bodies know how to take care of it. Words are a flywheel and, when bodies are able to choose them, they hold precious meanings. There is a very ancient legal establishment, dating back to the Holy Roman Empire and institutionalized starting from 1679 at the behest of Charles of England – cradle of the Common Law, of the inherent rights of men for the sole fact of being bodies – built on two symbolic and powerful words: it is the Habeas Corpus, may you have the body. In its name, in the eyes of the law, the body is inviolable and protected from abuse, law is sheltered from injustice, freedom can keep on walking, with bodies and within bodies, crossing the centuries. Have your body, no one can ever arbitrarily take away the dignity and integrity of your person. Act by remaining faithful to them and, in their name, I will be your shelter. The declarations of independence and the sources of law of every liberal order, the action of humanitarian organizations and the Universal Declaration of Human Rights, created by the General Assembly of the United Nations in 1948, have been built on the Habeas Corpus’ foundation. The UN itself, signatory of the UDHR, took shape three years earlier, while bodies were rising again from the war, with the primary purpose of the international promotion of peace, therefore to widen shelter from the body to the bodies, to all the bodies, uniting the Habeas Corpus to the principle that every creed recognizes as the Golden Rule: do unto others as you would have them do unto you, fertile substratum of the Ethic of Reciprocity. And there is a subtle, yet huge difference between the positive and negative poles of the Golden Rule: [+] do unto others as you would have them do unto you = the body of the Other as enrichment [-] don’t do unto others as you wouldn’t have them do unto you = the body of the Other as a limit corollary: in reciprocity, always polarize towards [+] 192 States belonging to the UN, each of them signatory to the Universal Declaration of Human Rights. But human rights do not belong to the States, which, if anything, are their guarantors. In the words of Eleanor Roosevelt, chair of the committee that wrote the Declaration, «Human rights begin in small places, close to home, so close and so small that they cannot be seen on any maps of the world. Yet they are the world of the individual person, the neighborhood he lives in, the school or college he attends, the factory, farm or office where he works. Such are the places where every man, woman and child seek equal justice, equal opportunity, equal dignity without discrimination. Unless these rights have meaning there, they have little meaning anywhere. Without concerned citizen action to uphold them close to home, we shall look in vain for progress in the larger world». Human rights, then, belong to bodies. Also and above all to the bodies we do not see. To the forgotten bodies. To the used-up bodies, to the private bodies. To the unrecognized, unacknowledged or unclaimed bodies. To the bodies of those who demonstrate for other bodies. To the bodies played on the table of politics, to frighten, to silence. The Body of Christ and the body of every poor Christ. To the bodies of those who go through pain, suffering, darkness, which were the real theme of the referendum on euthanasia, recently rejected in Italy with the ridiculous alibi of a wrong syntax – as had already happened for the albeit bland draft law against homophobia named Zan Bill, because words, for bodies, can be the best ally but also the worst enemy, when one is not polarized towards [+]. How do you get close to a body in pain? What compassion with? What friendship with? By what right can someone else's body be condemned without appeal? On his body I saw all the evil in the world, were the words of Giulio Regeni's mother in front of the deposition of the body of the son, despoiled of the Habeas Corpus, of Pietas and still in search of rights. Perhaps, rather than a declaration of rights, we need a declaration of duties, because every time a right is denied, emptying it into sterile abstraction, someone has not done his duty. The duty to defend every single body. With its unique story. With its unique skin. Skin, sounding board and depth surface of every body, as Paul Valéry wrote: «The most profound thing about man is his skin». Skin as an interface with the world, through which to read and interpret the profound: and here it is, art, skin of the imaginary, in its symbolic and deeply ethical function of intermediary, alert, recall. Through the imagistic power of the symbol, main instrument of art acting like

124 125 Per chi ha fatto del fumetto una passione o il proprio culto domestico, è un nome noto, quello di un Maestro. Per tutti gli altri, dovrebbe esserlo nondimeno: Nicola Mari, pilastro della Sergio Bonelli Editore, è la mano che ha il potere di trasformare una tavola bianca nell’universo di Dylan Dog, darle tridimensionalità e poi precipitarla nell’incubo. Dall’esordio a soli vent’anni con i fumetti erotici della Edifumetto passa alla casa editrice Acme prima di essere assoldato tra i ranghi della Bonelli, dove gli vengono affidate le storie del neonato fumetto fantascientifico Nathan Never, del quale realizza alcuni dei migliori albi. Poi è la volta di Dylan Dog. Un destino prevedibile per colui che oggi è considerato il Maestro del fumetto gotico italiano, e che nutre per questa serie un amore totalizzante. Il battesimo del fuoco con l’investigatore di Craven Road avviene con il testo del gigante Tiziano Sclavi, creatore della serie. Da allora, Mari lavora incessantemente per restituire alla realtà il suo mistero – che è poi la missione stessa di quest’arte, quella che genera la partecipazione del lettore. Il tratto raffinato e pulito, ma allo stesso tempo ricco di intensità di un autore colto, con un approccio olistico allo scibile e una passione per la filosofia, in particolare quella greca. Tutti elementi che sedimentano sul fondo del suo stile, e ne costituiscono una base solida. Nicola, comincerei chiedendoti di introdurci a questa che è una forma d’arte ma anche di comunicazione, alle sue caratteristiche e alla sua evoluzione. Come è nata e come è cambiata questa disciplina, nella tecnica e nel fare presa sulla società, e qual è il suo pubblico? Il termine “fumetto” nasce nel 1895, quando il disegnatore americano Richard F. Outcault ebbe l’idea di inserire i dialoghi dei personaggi all’interno di una nuvoletta di fumo, da cui il termine. Ma le origini del fumetto in senso più ampio si potrebbero, addirittura, far risalire alle pitture rupestri preistoriche o, proseguendo per ampi balzi temporali, ai pittogrammi dei geroglifici, in cui il linguaggio era affidato alle immagini. Arrivando fino al Medioevo, in cui la vita dei santi era spesso narrata da illustrazioni in sequenza tra loro, o dalle parole dipinte con l’oro che uscivano dalle loro bocche, nelle rappresentazioni sacre delle cattedrali gotiche. La narrazione affidata al fumetto prosegue nella prima metà dell’Ottocento con i romanzi “disegnati” del ginevrino Rodolphe Töpffer, per poi innestarsi nei fumetti di Winsor McCay e del pittore Lyonel Feininger, agli albori del ventesimo secolo – quando il fumetto, insieme al cinema, diventa un fenomeno di massa in costante evoluzione e in grado di generare diversi approcci e diversi modi di definirsi, dai comics supereroistici americani, alle strips, alla bande dessinée francese, ai romanzi a fumetti (le graphic novels), al fumetto underground, e così via. A questa eterogeneità, tipica del fumetto, corrisponde un pubblico altrettanto eterogeneo. Una ricchezza semantica del fumetto, dunque, in grado di colmare la distanza che separa i diversi linguaggi che, nel loro insieme, partecipano all’organizzazione dell’immaginario collettivo, al modo attraverso cui una società legge se stessa. Il fumetto, dunque, è molto più presente nelle nostre esistenze di quanto non si creda, forse a confermare che nulla è più ignoto del noto. Stefano Santangelo Disegno divino e mano dell’uomo. Conversazione con Nicola Mari

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130 131 For those who have made comics a passion or their domestic cult, it is a renowned name, that of a Master. For all the others, it should be nonetheless: Nicola Mari, pillar of Sergio Bonelli Editore, is the hand holding the power to turn a white panel into the universe of Dylan Dog, giving it threedimensionality and then plunging it into nightmare. From his debut at the age of twenty with the erotic comics for Edifumetto, he moved to the Acme publishing house before being hired among the ranks of Bonelli, where he was entrusted with the stories of the newborn sci-fi comic Nathan Never, of which he made some of the best books. Then it's Dylan Dog's turn. A predictable fate for the one who is today considered the Master of Italian gothic comics, and who has an all-encompassing love for this series. The fiery baptism with the Craven Road investigator took place with the text of the giant Tiziano Sclavi, creator of the series. Since then, Mari has worked tirelessly to render his mystery to reality – which is the very mission of this art, the one able to generate the reader's participation. A refined and clean line, at the same time rich in intensity, of a cultured author, with a holistic approach to knowledge and a passion for philosophy, in particular the Greek one. All elements that sediment at hem of his style, and form a solid base. Nicola, I would begin by asking you to introduce us to comics, which are an art form, but also a communication form, to their characteristics and their evolution. How did this discipline come into being and how has it changed, in terms of technique and in taking hold of society, and what is its audience? Comic strips as we know them today were born in 1895, when the American designer Richard F. Outcault had the idea of inserting the dialogues of the characters inside a cloud of smoke. But the origins of comics in a broader sense could even be traced back to prehistoric cave paintings or, continuing for large temporal leaps, to the pictograms of hieroglyphics, in which language was entrusted to images; coming up to the Middle Ages, in which the lives of the saints were often narrated by illustrations in sequence between them, or by the words painted with gold that came out of their lips, in the sacred representations within the Gothic cathedrals. The narration entrusted to comics continues in the first half of the nineteenth century with the novels "drawn" by the Genevan Rodolphe Töpffer, and then grafted onto the comics by Winsor McCay and by the painter Lyonel Feininger, at the dawn of the twentieth century – when comics, together with cinema, became a mass phenomenon in constant evolution and able to generate different approaches and different ways of defining themselves, from American superhero comics, to strips, to French bandes dessinées, to graphic novels, to underground comics, and so on. An equally heterogeneous audience corresponds to this kind of heterogeneity, typical of comics. A semantic richness, therefore, capable of bridging the distance that separates the different languages participating, as a whole, in the organization of the collective imagery, in the way a society reads itself. Comics, thereby, are much more present in our lives than we can imagine, perhaps to confirm that nothing is more unknown than the known. Stefano Santangelo Divine drawing and human hand. A conversation with Nicola Mari

134 135 �uesta è una storia giapponese, dove l’osservazione riprende il sopravvento per andare oltre i limiti che ogni forma di conoscenza prima o poi manifesta. C’è molta spiritualità nella vita che andiamo a raccontare con la testimonianza diretta di chi questa esperienza l’ha osservata coi suoi occhi, ma non sia questa una scusa per estraniarsene: poche culture riescono ad allinearsi pienamente con il Buddhismo Zen che fa da contorno. Ciò su cui ci si deve concentrare è il tempo, la sua importanza e il suo senso per l’uomo e la natura. Rispetto del tempo e dei risultati che garantisce se, dal contare i minuti, si passa a comprendere il suo agire, la sua relazione con le cose. La vita di Masanobu Fukuoka (1913 –2008) è raccontata in molte lingue e la sua tecnica del non-fare in agricoltura è dibattuta a livello a scientifico e citata in svariate pubblicazioni. All’inizio della sua esperienza mandò in momentanea rovina i campi di famiglia; altrettanto vero è che, assecondando il tempo e le esigenze delle piante, queste gli garantivano raccolti sorprendenti per qualità e quantità. Su una cosa l’opinione scientifica è concorde parlando di Fukuoka: le esigenze di biodiversità degli ecosistemi vanno rimesse al centro del discorso agricolo e le sue tecniche sono un sostenibile esempio con cui integrare l’agricoltura per la salvaguardia del suolo. Pubblicato nel 1980, La rivoluzione del filo di paglia è il saggio con cui Fukuoka introduce alla sua nontecnica in agricoltura. Giannozzo Pucci è uno degli editori che ha contribuito alla diffusione del saggio dall’Estremo Oriente; fiorentino, appartiene a quel novero di persone che si spende precorrendo i tempi, che affronta tematiche con mezzo secolo di anticipo rispetto all’allarme generale. Pucci è tra gli ispiratori del movimento ecologista e ha vissuto l’agricoltura e l’amicizia con Fukuoka. Il cuore della visione di Fukuoka è nella paglia che dà il nome al libro, paglia lasciata dalla precedente coltura o stesa a mano, che deve coprire il terreno di coltivazione. Fertilità, germinazione, protezione dagli animali e gestione dell’acqua sono fattori interamente gestiti da lei, la paglia, o la pacciamatura, naturale cittadina dell’ecosistema. Inquesta lettiera si intrecciano i resti organici delle piante appena coltivate e degli animali, i funghi e i batteri. Arriva l’acqua e il tutto nutre il suolo. Altro fattore chiave è la compresenza di più colture a sovrapporsi e passarsi il testimone, a impedire che ci sia spazio per le erbacce invernali e le infestanti. Incrociando le braccia e lasciando fare a questo strato sopra il suolo, lui non degrada e l’ecosistema giunge al suo equilibrio. La tecnica di Fukuoka è figlia del suo territorio di origine, dove ha maturato l’esigenza di un cambio di strategia e dove ha iniziato a sperimentare la rivoluzione del filo di paglia. Universale è divenuto l’effetto dell’applicazione del suo approccio verso il suolo: sono infatti scientificamente provati i risultati sulla fertilità del terreno, impensabili sulle strade industriali dell’agricoltura, la cui intensività di produzione può in ogni modo essere raggiunta se si osserva l’ambiente e gli si lascia il tempo per far fruttare quell’ecosistema che per natura si creerebbe in quel luogo. «Fukuoka era uno scienziato, lavorava per le dogane e svolgeva controlli e verifichequotidiane. Veniva da una famiglia di coltivatori e, a un certo punto, ha avuto una conversione che ha Federico Tosi Agricoltura e suolo: i risultati, inattesi, del non-fare capovolto la sua osservazione. Dobbiamo partire da lì, da una profonda problematica personale avvenuta in un momento difficile dal punto di vista della salute, che gli ha fatto cambiare completamente prospettiva. Invece di abbracciare una visione scientifica, quindi oggettiva, della natura, lui ha capovolto l’approccio, passando a una prospettiva soggettiva, con un’esperienza diretta delle piante, dell’insieme che non è classificabile nel tutto. Classificare tutto non coglie la completezza, l’interezza delle cose». «In questo mondo digitalizzato abbiamo una perdita di cultura, di conoscenze, e nel suo caso è successo che proprio i cinque sensi, se non di più, si sono attivati con un forte appeal soggettivo, con cui ha cominciato a sentire la natura in un altro modo. �uando lo vedevi nella natura, avevi la sensazione che lui vedesse di più. Ecco perché chiedeva e consigliava ai suoi studenti di vivere in una capanna di argilla, mangiando, dormendo, bevendo, completamente a contatto con la natura. �uesto rapporto con l’essenzialità della vita è stato il cammino da quando ha avuto questa intuizione e si è capovolta la sua conoscenza, ponendosi sul sistema opposto rispetto a quello scientifico, senza sperimentare come reagisce la realtà, ma osservando cosa succede se non facciamo questo e se non facciamo quest’altro». «In questo cammino a ritroso Fukuoka è entrato in contatto con la natura vera. È allora che ha cominciato un cammino nuovo, scoprendo cose che – compiendo il percorso della scienza – non si possono scoprire. Ci sono per esempio delle sostanze che arrivano dalle erbe che, con il solo principio di causalità, non si possono scoprire. Ci vuole un sesto senso, che è il fenotipo: quello che appare della pianta, non il genotipo». Nel libro La rivoluzione del filo di paglia, Fukuoka individua quattro principi, linee guida di come si deve intendere il lavoro dell’uomo, l’importanza del suolo e il cambio di strategia necessario. Nessuna lavorazione: la terra si lavora da sola. Arare la terra significa capovolgere l’equilibrio dello strato più fertile, capace di arricchirsi grazie ai cicli di vita delle piante e all’attività di microrganismi, lombrichi e animali. Nessun concime: il suolo conserva la sua fertilità. Il cambio di passo è non ferirlo, perché il sistema di rimedi chimico-industriali non ripristina ciò che è stato compromesso e, men che meno, ne migliora le condizioni iniziali. Nessun diserbo: garantire biodiversità significa dare spazio a sole piante che concorreranno per il benessere reciproco. Le erbacce si controllano, non si eliminano. Nessuna dipendenza da prodotti chimici: colture vigorose in un ambiente sano garantiscono il controllo sugli insetti nocivi e sui patogeni. �uesti sono divenuti un problema in agricoltura a causa delle piante deboli, generate da tecniche agricole impoverenti il suolo e dal ruolo dell’uomo che lo coltiva. «Ridurre il lavoro umano – spiega Pucci della visione di Fukuoka – e mantenere la manualità, la fisicità del contatto con la natura che lo rende sovrano». «Le macchine non sono mai perfettamente giuste e si deve il più possibile essere autonomi, indipendenti dall’industria, autarchici. In questo modo abbatti tutti i costi e le esternalità, e in quel senso ritorni alle radici dell’agricoltura. Fukuoka era fiero di riuscire a produrre prodotti molto migliori, con pochissima fatica umana, e di poterli rivendere a prezzi minori rispetto a quelli dell’industria. Lui ha accettato la gara con i prodotti industriali, vincendola». «Per mettere in pratica i suoi principi ci vuole profonda convinzione. Fukuoka seguiva la tradizione religiosa del Buddhismo Zen che un po’ ha trasferito all’agricoltura. �uesta sua prospettiva non può tradursi immediatamente in una tecnica, perché le condizioni locali sono estremamente importanti nel determinare il risultato. L’unica cosa che si può tradurre sono i criteri che ha sviluppato: ridurre al massimo il lavoro umano, mantenere il lavoro manuale, rispettare la natura delle piante, fare una vendita il più possibile diretta, dove si conferiscono i propri prodotti in modo da avvicinare il più possibile chi mangia con chi lavora la terra». L’impoverimento del terreno è una deriva appurata, e se nei primi anni del 2000 la FAO opinò le pratiche di Fukuoka, ora che l’agricoltura industriale ha svelato il peso della sua impronta sul suolo, i concetti del non-fare sono in larga scala riconosciuti nelle agricolture moderne, che fanno della biodiversità la formula per rese simili a quelle dipendenti da chimica e macchinari, e più salutari per l’ambiente e gli esseri viventi. Coltivazioni a staffetta, colture di copertura e biodiversità delle piante hanno dimostrato la capacità di fare a meno di pesticidi e fertilizzanti, in un ecosistema in naturale equilibrio.

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