Ossigeno

68 diario di un’invisibile (in caso di necessità, rompere la vetrina mediatica) a cura di fabiola triolo giorno 1 «Il mio nome è Nessuno» Fu così che decisi di sparire. E non di quello sparire vigliacco, di chi «scendo un attimo a comprare le sigarette», con nascosto un biglietto di sola andata per un’isola random. Tantomeno impugnando la versione 3.0 di una trasparenza ormai fattasi irrespirabile, arma populista nelle mani di uno scellerato establishment, colpevole del fraintendimento di dati bruti con la brutalità di una imbarazzante assenza di capacità interpretativa, ma anche di competenza immaginifica. La trasparenza ai tempi di Instagram converte se stessa in pubblicità, ma la pubblicità, ben oltre il rendere pubblico, è oggi degenerata in spettacolarizzazione di un quotidiano tutto fuorché autentico, allestendo serialmente il suo teatrino degli orrori tra identità dopate e software open-source dalla bocca fin troppo buona. Un maquillage identitario da postare, retwittare e condividere più contagiosamente che viralmente, che mira a estetizzare qualsiasi prodotto , noi stessi compresi, complici di una trasparenza/pubblicità dedita a venderci come packaging. Album di famiglia come mosaici di Instagram, #relazioni- elettroniche e #passioni-private anticipate da hashtags per diventare trend-topics, a uso e consumo di gente alla quale gliene frega poco o niente, prosumers di una specie di cultura sintetica come certi veleni creati in laboratorio, la cui dipendenza è direttamente proporzionale alla sua tossicità. Attenzione: questo profilo crea dipendenza . Meglio sparire, è l’unico modo di metterci la faccia, in un villaggio globale fatto di vetrine mediatiche malvestite di selfie contraffatti. «L'invisibilità mi sembra il requisito primario dell'eleganza, perché l'eleganza finisce se si fa notare», scrisse Jean Cocteau. «Il mio nome è Nessuno», disse Ulisse a Polifemo per avere salva la vita .

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