Ossigeno

Il bianco che avvolge l’undicesimo numero di Ossigeno – Elements of Life anticipa al lettore un significativo sviluppo della pubblicazione, e nel corso della collezione diventerà elemento per indicare l’unicità del contenuto: in questo caso, l’acqua. Con esempi pratici e attraverso incontri artistici e di pensiero, nei precedenti numeri di Ossigeno le vie di crescita ambientale e sociale erano presentate con argomenti diversi e un filo conduttore che, progressivamente, prendeva forma durante la realizzazione di ogni numero. Da questo bianco e dal numero 11 di Ossigeno, testi, immagini e illustrazioni proseguono con la medesima spinta e funzione, ma su approfondimenti monografici. Da qui e per le prossime pubblicazioni, un unico soggetto sarà così affrontato, con le chiavi di lettura di sempre e lo stesso obiettivo di contribuire alla diffusione di informazioni e spunti per un aggiornato ragionamento sul rapporto tra l’essere umano e il suo ambiente di vita. �uesto è l’obiettivo editoriale di Ossigeno: condividere esperienze e informazioni sui temi chiave di ambiente e società. �uesto numero di Ossigeno è dedicato all’acqua. Acqua nella sua relazione con l’essere umano, dal punto di vista del suolo e attraverso altre necessarie considerazioni e prospettive. �uesto è il terzo numero a ospitare una rubrica che, pur senza un titolo formale, si può definire Agricoltore custode del pianeta. È voluta per portare giusta attenzione e conoscenza su quell’agricoltura capace di far crescere un frutto raro: suolo fertile. Per Ossigeno e per questa rubrica, Vandana Shiva, fondatrice di Navdanya International, racconta la pratica e la necessità di un’agricoltura votata alla qualità del suolo, di un frutto che sia nutriente e di una coltivazione equa nella distribuzione del valore della produzione. Parliamo di acqua attraverso l’esperienza di DeserTech, comunità di innovazione della Ben-Gurion University del Negev, la cui attività è raccontata da Patricia Golan nello scopo e nei risultati del riunire tutti i progetti che, a livello mondiale, hanno sostituito o portato l’acqua dove non è possibile trovarla. L’acqua è il flusso su cui prosegue la rubrica disegnata dalla china di Nicola Mari e su cui insiste quell’immancabile, perché indispensabile, richiamo all’arte come veicolo per idee e considerazioni: in questo numero, Gian Maria Tosatti è la guida in un parallelismo di diritti e forza proprio tra acqua e arte. The white treasuring the eleventh issue of Ossigeno – Elements of Life discloses to the reader a significant development of the publication, and over the course of the book series it will become an element able to indicate the uniqueness of the content: in this case, water. With practical examples and through artistic and thought encounters, in the previous issues of Ossigeno the ways of environmental and social growth have been presented with different topics and a common thread that, progressively, took shape during the making of each issue. Starting with this shade of white and with Ossigeno’s number 11, texts, images and illustrations move forward with the same drive and function, but concerning monographic insights. From here and for our future publications, a single subject will thus be analyzed, with the usual interpretation keys and the same objective of contributing to the disclosure of information and ideas for an updated reasoning on the relationship between human being and its living environment. Here is Ossigeno's editorial goal: to share experiences and information on key environmental and social issues. This issue of Ossigeno is dedicated to water. Water in its relationship with human being, from the point of view of the soil and through other necessary considerations and perspectives. This is the third issue hosting a column which, although without a formal title, can be defined as Grower as the keeper of the planet. It is intended to bring proper attention and knowledge to a kind of agriculture capable of growing a rare fruit: fertile soil. For Ossigeno and for this column, Vandana Shiva, founder of Navdanya International, writes about the practice and the need for an agriculture devoted to soil quality, to nutritious fruits and to an equitable cultivation in respect of the distribution of production value. We talk about water through the experience of DeserTech, the innovation community of the Ben-Gurion University of the Negev, whose activity is told by Patricia Golan in the aim and results of bringing together all the projects that, worldwide, have replaced or brought water where it cannot be found. Water is also the flow leading the column designed by Nicola Mari and that unmissable, because indispensable, reference to art as a vehicle for ideas and considerations: in this issue, Gian Maria Tosatti is our mentor in a parallelism of rights and strength between water and art. Mario Zani

Dalla gratitudine a Navdanya di Vandana Shiva È l’incarnazione dell’impegno nella protezione della diversità biologica e culturale. È stata insignita nel 1993 del Right Livelihood Award, il Nobel Alternativo per la Pace. Fisica quantistica ed economista, vicepresidente di Slow Food International e fondatrice di Navdanya: a firmare per Ossigeno #11 il testo di apertura sull’interconnessione tra acqua, suolo e umanità, l’icona mondiale dell’attivismo Vandana Shiva. Dittico idraulico e altre storie. Conversazioni con Frank Westerman di Leonardo Merlini La poetica, fluida ed evocativa, di Leonardo Merlini si fonde con l’intensità narrativa del celebre scrittore olandese Frank Westerman in un racconto, quello dei loro incontri, che naviga sulle acque di Venezia e del Vajont, del Lago Nyos e dell’Arca di Noè. Le grandi opere idrauliche come porti da cui salpare per una narrazione del contemporaneo, e dell’umano tentativo di governarne i flussi. Il corpo e il riparo: diritto all’acqua e arte contemporanea. Conversazione con Gian Maria Tosatti di Fabiola Triolo Ci immergiamo nell’estetica dell’acqua e nella sua potenza simbolica attraverso l’incontro con Gian Maria Tosatti – a cui, nel 2022, l’Italia ha affidato le sue più grandi istituzioni artistiche, la Biennale di Venezia e la �uadriennale di Roma – scegliendolo come luminoso faro per indagare il riparo che la sua arte ha offerto all’acqua come diritto universale, e alla cultura come fluidità interdisciplinare. Acqua nel deserto di Patricia Golan – the DeserTech Community Riciclaggio e disinfezione dell’acqua, desalinizzazione, irrigazione a goccia: Israele, nazione la cui morfologia è desertica per il 60%, ha saputo fare di necessità virtù, diventando pioniera nell’implementazione di tecnologie avanguardistiche per affrontare il problema globale della scarsità di acqua. Il racconto di Patricia Golan, membro della comunità di innovazione israeliana DeserTech. Swimming in blue air ciclo fotografico di Mustafa Sabbagh «Sempre il mare, uomo libero, amerai! Perché il mare è il tuo specchio; tu contempli nell'infinito svolgersi dell'onda l'anima tua, e un abisso è il tuo spirito. Godi nel tuffarti in seno alla tua immagine; l'abbracci con gli occhi e con le braccia, […] o lottatori eterni, o implacabili fratelli!» (Charles Baudelaire, L'uomo e il mare, da Les fleurs du Mal, 1857). L’acqua come libertà, nel racconto per immagini di Mustafa Sabbagh. FreeWater: la rivoluzione dell’acqua. Conversazione con Albert Prewitt di Sandro Di Domenico Il futuro del marketing passa attraverso una bottiglia d’acqua offerta gratis. Ce lo svela Albert Prewitt, socio fondatore di FreeWater, startup statunitense che ha saputo fare proprio il principio del costo-opportunità del Premio Nobel Milton Friedman non solo per produrre un profitto equo e sostenibile, ma soprattutto per supportare una non-profit come Save the Refugees e per azzerare la sete nel mondo. Last graphic novel di Nicola Mari «Una presenza femminile, in luoghi e spazi indefiniti. L’incontro con un antico ierofante. Reazioni chimiche, combinazioni, sogno e realtà, enigma e alchimia. Un solo elemento, al centro e all’origine di questa pulsione vitale che si fa narrazione: l’acqua». La nuova graphic novel di Nicola Mari per Ossigeno: Last come definitività, Last come durata, Last come resistenza. Come i tratti dell’acqua. Veryverywhite: il polittico all’acqua e mercurio di Angelo Del Negro di Stefano Santangelo Il bianco che avvolge l’esterno di questo numero di Ossigeno ne chiude anche l’interno con il ciclo fotografico di Angelo Del Negro, immerso nelle Spiagge Bianche di Rosignano, audacemente ribattezzate i Caraibi livornesi. Ma sabbia candida e acqua cristallina non sono che il Paradiso fake dello sversamento di agenti sbiancanti da parte della vicina Solvay. Perché l’apparenza, a volte, può ingannare. From gratitude to Navdanya by Vandana Shiva Embodiment of the effort in the protection of biological and cultural diversity. Honoured in 1993 with the Right Livelihood Award, the Alternative Nobel Prize for Peace. �uantum physicist and economist, vice president of Slow Food International and founder of Navdanya: signing for Ossigeno #11 the opening text on the interrelation between water, soil and humanity, the global icon of activism Vandana Shiva. Hydraulic diptych and other stories. Some conversations with Frank Westerman by Leonardo Merlini The fluid and evocative poetics by Leonardo Merlini merges with the narrative intensity by the renowned Dutch writer Frank Westerman in a tale, that of their encounters, sailing on the waters of Venice and the Vajont, of Lake Nyos and the Ark of Noah. The large-scale hydraulic works as ports for sailing towards a narration of the contemporary, and of the human attempt to govern its flows. The body and shelter: right to water and contemporary art. A conversation with Gian Maria Tosatti by Fabiola Triolo We immerse ourselves in the aesthetics of water and its symbolic power through the meeting with Gian Maria Tosatti – to whom, in 2022, Italy has entrusted its largest artistic institutions, the Venice Biennale and the Rome Quadrennial – choosing him as a bright beacon to investigate the shelter that his art has offered to water as a universal right, and to culture as interdisciplinary fluidity. Water in the desert by Patricia Golan – the DeserTech Community Water disinfection and recycling, desalination, drip irrigation: Israel, a nation whose morphology is 60% desert, has been able to make a virtue out of necessity, becoming a pioneer in the implementation of cutting-edge technologies to deal with the global problem of water scarcity. The report by Patricia Golan, member of the Israeli innovation community DeserTech. Swimming in blue air photographic series by Mustafa Sabbagh «Free man, you will always cherish the sea! The sea is your mirror; you contemplate your soul in the infinite unrolling of its billows, and your mind is an abyss. You like to plunge into the bosom of your image; you embrace it with eyes and arms, […] o eternal fighters, o implacable brothers!» (Charles Baudelaire, Man and the Sea, from Les fleurs du Mal, 1857). Water as freedom, in the picture story by Mustafa Sabbagh. FreeWater: the water revolution. A conversation with Albert Prewitt by Sandro Di Domenico The future of marketing goes through a free bottle of water. This is revealed to us by Albert Prewitt, founding partner of FreeWater, a US startup able to adopt the principle of opportunity cost by the Nobel Prize Milton Friedman not only to produce a fair and sustainable revenue, but above all in order to support a non-profit organization the likes of Save the Refugees, and in order to quench thirst in the world. Last graphic novel by Nicola Mari «A female presence, in undefined places and spaces. The encounter with an ancient hierophant. Chemical reactions, combinations, dream and reality, enigma and alchemy. Only one element, at the center and at the origin of this vital drive that becomes narration: water». The new graphic novel by Nicola Mari for Ossigeno: Last as definitiveness, Last as duration, Last as resistance. Like the features of the water. Veryverywhite: the water and mercury polyptych by Angelo Del Negro by Stefano Santangelo The white surrounding the exterior of this Ossigeno issue also concludes its interior through the photographic series by Angelo Del Negro, immersed in the White Beaches of Rosignano, boldly renamed the Caribbean of Livorno. However, white sand and crystal clear water are nothing but the fake Paradise of the spill of bleaching agents by the nearby Solvay. Because appearances can sometimes be deceiving. 08 14 22 28 34 60 86 92 98 98 120 126 132 132 146 154 O11 visuals: Isacco Emiliani, Arctic Visions, 2016-cont. O11 visuals: Isacco Emiliani, Arctic Visions, 2016-ongoing

10 11 Ciò che mi ha sempre guidato è l’amore e il rispetto per la Terra e per l'umanità. La mia gratitudine per la vita che la Terra viva ci dona è ciò che mi guida a difendere natura e diritti umani. Il diritto umano alla vita fluisce dai diritti connaturati alla Terra, quindi, per me, difendere la Terra è un nostro dovere, oltre che un nostro diritto. Il modo migliore in cui le persone possono sentirsi coinvolte è partecipare alla rigenerazione della Terra viva coltivando un giardino o producendo cibo secondo il paradigma ecologico, senza l’uso di sostanze chimiche. �uando ci prendiamo cura del suolo diventiamo noi stessi parte della Terra, acquisiamo la consapevolezza di essere noi stessi parte della natura. Siamo fatti degli stessi cinque elementi che costituiscono la Terra: spazio, aria, acqua, fuoco, suolo. Humus, come per il suolo, è la radice della parola umano. Siamo terra. Siamo fatti di terra. E possiamo e abbiamo il dovere di rigenerare la Terra. Dobbiamo cambiare rotta. Dobbiamo abbandonare la strada dell'estrattivismo, del prendere senza dare, del porre i profitti al di sopra delle persone. È la parabola discendente del consumismo, che sta annientando le condizioni della vita umana sulla Terra. È un vicolo cieco; sfocia in estinzione. Il cammino che conduce alla possibilità di un futuro per l’umanità si indica seguendo il percorso su cui gli indigeni hanno camminato per secoli senza mai distruggere la Terra. Significa camminare seguendo quei solchi della natura che hanno sorretto la vita sulla Terra nel corso dei millenni. In Navdanya siamo profondamente consapevoli che il suolo è vivo, e che prendersi cura del suolo vivo è l'aspetto più importante della coltivazione del cibo. Il cibo è il dono del seme vivo e del suolo vivo. Semi e piante vivificano il suolo, e il suolo vivo alleva semi vivi. Il terreno su cui si trova la cooperativa di Navdanya era un lembo di terra desertificato, impoverito da una piantagione di eucalipti. Per rigenerare il suolo, abbiamo nutrito i suoi microrganismi aggiungendovi materia organica. Abbiamo coltivato la biodiversità, che ha favorito l’accoglienza di una ancor più ricca varietà di insetti e impollinatori, di lombrichi e organismi del suolo, di piante medicinali, spontanee, selvatiche, edibili. �uando non si ricorre all’uso di pesticidi ed erbicidi come il glifosato, che uccide insetti e piante, la biodiversità coltiva la biodiversità. La biodiversità coltiva l'abbondanza, la biodiversità coltiva la vita. Le nostre ricerche dimostrano che un terzo del cibo è opera degli impollinatori. Il nutrimento per il nostro cibo proviene dai microrganismi del suolo. Avere cura dei semi significa allora occuparsi di semi a impollinazione libera e rigenerativa, accrescendone la diversità attraverso una banca viva dei semi, in modo che possano co-evolvere adattandosi al cambiamento climatico. La banca dei semi di Navdanya è viva, è un bene comune, dove i semi co-evolvono grazie alla cura umana. La banca dei semi di Navdanya, all’interno della cooperativa di Navdanya, non è che una delle 150 banche comunitarie di semi che abbiamo contribuito a creare a partire dal 1991. Ho avviato l’istituzione di banche comunitarie di semi per salvaguardare la diversità dei semi vivi e perché potessero restare nelle mani degli agricoltori. È stato nel 1987, durante un meeting sulle nuove biotecnologie, che l’industria chimica ha rivelato per la prima volta di come avrebbe geneticamente modificato i semi per possederne il brevetto esclusivo. Dissero che tutti i semi sarebbero divenuti OGM aziendali brevettati entro il 2000, e che l'accordo sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio dell’AGTC/OMC¹ sarebbe stato utilizzato per rendere illegale la conservazione e lo scambio di semi. Per me custodire e condividere i semi è un dovere etico, oltre che ecologico. Quindi, assieme alle comunità, mi sono impegnata a conservare i semi attraverso le banche comunitarie e a combattere l’affermazione falsa che i semi siano congegni inventati dalla Monsanto. Una banca comunitaria dei semi rappresenta allora una riappropriazione di beni comuni e vitali in un periodo di imperialismo ai danni della vita, a cominciare dal monopolio sui semi. Parlando di acqua, nel corso della storia le sue fonti erano riconosciute come sacre. Sono luoghi degni di timore reverenziale perché l'acqua è dono della natura, e dà il dono della vita. È imprescindibile per la nostra sopravvivenza. Non solo costituisce gran parte dei nostri stessi corpi, ma con l'acqua il suolo viene idratato in modo che le piante crescano, che cresca la vita. A sua volta, la materia organica delle piante e di altri esseri viventi ritorna al suolo, rendendolo più resistente all'erosione e aumentandone la capacità di ritenzione idrica. Dalla gratitudine a Navdanya Vandana Shiva ¹ Accordo Generale sulle Tariffe doganali e sul Commercio, divenuto in seguito Organizzazione Mondiale del Commercio (NdR).

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16 17 What has always guided me is my love and respect for the Earth and for humanity. My gratitude for the life that the living Earth gives us is what guides me to defend nature and people’s rights. The human right to be alive flows from the Earth’s intrinsic rights, therefore, for me, defending the Earth is our duty as well as our right. The best way people can become engaged is in participating in the regeneration of the living Earth by growing a garden, or by growing food ecologically, without chemicals. When we care for the soil we become part of the Earth, we become aware that we are part of nature. We are made of the same five elements that also constitute the Earth: space, air, water, fire, earth. Humus, as in soil, is the root of the word human. We are soil. We are made of soil. And we can and have the duty to regenerate soil. We have to change course. We have to abandon the path of extractivism, of taking without giving, of putting profits above people. This is the path of consumerism, which is destroying the conditions of human life on Earth. It is a dead end; it ends in extinction. The path that leads to the possibility of a human future is shown by following the path that indigenous people have walked over millennia without destroying the Earth. It is walking in nature’s ways that have sustained life on Earth over thousands of years. At Navdanya we are deeply aware that the soil is living, and that caring for the living soil is the most important aspect of growing food. Food is the gift of living seed and living soil. Seed and plants make living soil, and living soil grows living seed. The land on which the Navdanya farm is located was a desertified piece of land, impoverished by a eucalyptus plantation. To regenerate the soil, we feed the soil microorganisms by adding organic matter. We grew biodiversity, and it invited a biodiversity of insects and pollinators, of earthworms and soil organisms, of medicinal plants and uncultivated, wild edibles. When we do not spray pesticides and herbicides like glyphosate, which kill insects and plants, biodiversity grows biodiversity. Biodiversity grows abundance, biodiversity grows life. Our research shows that one third of the food is produced by pollinators. The nutrition in our food comes from soil microorganisms. Seed care is taking care of open pollinated, renewable seed, growing seed diversity in a living seed bank so it can coevolve with changing climate. Navdanya’s seed bank is living, it’s a commons, where seeds coevolve with human care. The Navdanya seed bank on the Navdanya farm is one of the 150 community seed banks we have helped to set up since 1991. I started community seed banks to save the diversity of living seed, and to keep seeds in farmers’ hands. It was in 1987, at a meeting on new biotechnologies, that the chemical corporations first mentioned how they would have genetically engineered seeds to own them through patents. They said all seeds would have been corporate GMO patented seeds by 2000, and the trade related intellectual property rights agreement of GATT/WTO³ would have been used to make seed saving and exchange illegal. For me saving and sharing seeds is an ethical and ecological duty. So I made a commitment to save seeds with communities in community seed banks, and also to challenge the false claim that seeds are machines invented by Monsanto. A community seed bank is the reclaiming of the commons of life in a time of imperialism over life, beginning with monopoly over seeds. In terms of water, throughout history, water sources have been regarded as sacred. They are places worthy of reverence and awe because water is a gift of nature, and it gives the gift of life. It is essential for our survival. Not only does it constitute a significant portion of our own bodies, but through water soil is hydrated so plants can grow, giving rise to life. In turn, the organic matter from plants and other living beings return to the soil, making it more resilient to erosion and increasing water holding capacity. Water is a commons. It is the ecological basis for all life. Its sustainability and equitable allocation depend on cooperation among community members. However, there is a growing momentum towards the privatization of water resources. We see increasing intervention by the state in terms of water policy and the subversion of community control over water resources. Throughout history and across the world, water rights have been shaped both by the limits of ecosystems and by the needs of people. Water has traditionally been treated as a natural right. Water rights as natural rights do not originate with the state; they evolve out of the given ecological context of human existence. From gratitude to Navdanya Vandana Shiva ³ General Agreement on Tariffs and Trade, later become World Trade Organization (Ed.’s Note).

22 23 Dittico idraulico e altre storie. Conversazioni con Frank Westerman Leonardo Merlini La finestra dell’albergo si affaccia sulla Laguna. La prima cosa che sento, quando la apro, è il suono di sottofondo che definisce in un certo senso l’essenza di Venezia: il movimento delle onde, le oscillazioni dei pontoni, l’increspatura delle imbarcazioni, qualche sirena di avviso. Il cielo è grigio, l’acqua densa come una coperta che vuole nascondere dei segreti, qualcuno trascina un trolley sulla Riva degli Schiavoni, nascosto da un ombrello giallo chiaro. Piove. Sono le 8:33 del 22 novembre 2022, tra poco più di un’ora è prevista la marea a 160 cm; una marea eccezionale, pericolosa, potenzialmente devastante. Mia figlia dorme ancora nella stanza accanto. La coperta della Laguna ora mi appare minacciosa, seppure sempre bellissima. Il bollettino del Comune di Venezia mi informa che tutte le schiere del MOSE sono state attivate. Il 1° novembre 2021, quando la previsione di acqua alta arrivava “solo” a 130 cm, la barriera costruita in lunghi anni a suon di miliardi e anche di scandali aveva davvero contenuto l’acqua e, come ha scritto il reporter e scrittore olandese Frank Westerman, «Mosè aveva diviso in due il Mar Adriatico». Il MOSE funzionava, almeno per le grosse maree, e ha funzionato anche oggi. Riavvolgiamo il nastro. �uesta, in fondo, è la fine del racconto. Una fine che, nonostante il vento e la pioggia sferzante, è stata lieta: Venezia ha superato la crisi senza gravi conseguenze, l’Acqua Granda è rimasta, per dirla con lo scrittore Ben Lerner, una tempesta mai accaduta grazie al MOSE. Ma Westerman – uno che ha fatto del giornalismo una forma di letteratura di alto livello e che, sull’isola di San Servolo, ha conosciuto direttamente la fragile realtà lagunare della città – ha raccontato di quando le tempeste sono arrivate davvero, nel 2019 a Venezia e, con tutto l’orrore di una tragedia annunciata, sul Vajont nell’ottobre del 1963. Lo ha fatto in un piccolo libro, Dittico idraulico (2022), uscito per la casa editrice veneziana Wetlands; e lo ha fatto con il suo stile di reporter, di indagatore in prima persona di quella cosa misteriosa che chiamiamo realtà. Prima di continuare a scrivere aspiro l’odore di questo momento, che è salmastro e umido. Penso che sia l’odore giusto per provare ad andare avanti, l’odore giusto per lasciare che le parole a poco a poco mi sommergano come la Laguna che cresce, e cresce, e cresce. Dentro di me la sua immagine sentimentale diventa enorme, imprescindibile. Venezia è la città. Venezia è l’acqua. E questa storia parla di acque. Intermezzo #01: le grandi opere idrauliche hanno segnato la storia dell’umanità e della sua civilizzazione. Gli acquedotti romani ancora oggi stanno come un monito davanti ai miei occhi di viaggiatore, un monito che suona anche sinistro se penso al tema – anzi, all’iperoggetto, per dirla con il filosofo Timothy Morton – del cambiamento climatico. Il porto di Cartagine in confronto a quello di Rotterdam, e la sua architettura ipercontemporanea; le dighe sul Nilo e le imbarcazioni degli antichi egizi; quei fari che stavano letteralmente alla fine del mondo, come se fossero nella testa di Edgar Allan Poe, presenti come bastioni delle nostre memorie involontarie. «I fatti sono inorganici, non sono vivi, sono materia morta. Le storie invece sono vive», mi ha detto un giorno a Ferrara Westerman. «Bisogna sussurrare, soffiare la vita dentro i fatti», e poi, alzando la voce, quasi con urgenza: «Le storie si moltiplicano, mutano, evolvono. E non parlo dei romanzi, ma dei reportage, dei saggi. Non invento nulla, ma come scrittore cerco di dare vita ai fatti». E i fatti in questo caso sono intrecciati, uniti dal racconto di alcuni testimoni, dal tornare sui luoghi, dal provare a ricostruire le diverse forme di mitologia – storica, politica, interpretativa e anche giudiziaria – che si accompagnano inevitabilmente alla ricomposizione di un fatto catastrofico come il crollo della diga che spazzò via Longarone, ma anche delle periodiche inondazioni veneziane, quell’inesausto ritornare del Mare che a poco a poco sommerge la città e, con essa, il nostro immaginario collettivo su uno dei luoghi più celebri al mondo, conosciuto da milioni e milioni di persone. Anche se poi quante di queste hanno davvero camminato sulle passerelle di legno in piazza San Marco, nelle sere di acqua alta? �uante hanno visto davvero allagarsi le case o scomparire le porte? �uante hanno sentito il silenzio, un attimo prima del disastro? «Il punto zero dell’acqua alta e bassa a Venezia – scrive Westerman nella sua storia di due storie, tra la Laguna e il Vajont – è il livello medio del mare, misurato nel 1897. Sulla Punta della Salute, allo sbocco del Canal Grande, questo zero mareografico è indicato con una riga orizzontale, intorno alla quale è stata costruita una stazione di rilevamento che fa pensare a una latrina. All’interno gira lentamente un rullo cilindrico verticale, ricoperto di carta a quadretti. Una penna meccanica, collegata a un galleggiante nell’acqua, disegna le onde di bassa e alta marea al ritmo della posizione del sole e della luna». Non succede molto in questo passaggio, ma è bello sentire la voce dell’ingegnere (qualcuno dice agrario, altri, forse suggestionati, dicono addirittura idraulico) che Westerman è stato prima di diventare, come recita il risvolto del libro, «uno dei più importanti scrittori olandesi contemporanei».

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28 29 Hydraulic diptych and other stories. Some conversations with Frank Westerman Leonardo Merlini The hotel window overlooks the Lagoon. The first thing I hear, when I open it, is the background sound that in a certain sense defines the essence of Venice: the movement of the waves, the oscillations of the pontoons, the rippling of the boats, some warning sirens. The sky is gray, the water thick like a blanket anxious to hide secrets, someone drags a trolley onto the Riva Schiavoni, hidden by a light yellow umbrella. It rains. It is 8:33 a.m. on November 22, 2022, the tide at 160 cm is expected in just over an hour; an exceptional, dangerous, potentially devastating tide. My daughter is still sleeping sleeping in the next room. The blanket of the Lagoon now looks threatening to me, though still beautiful. The bulletin of the Municipality of Venice informs me that all MOSE lines have been activated. On November 1st, 2021, when the forecast of high water "only" reached 130 cm, the barrier built over many years to the sound of billions and scandals had really contained water and, as the Dutch reporter and writer Frank Westerman wrote, «Moses divided the Adriatic Sea in two». MOSE was working, at least for the big tides, and it worked today too. Let's rewind the tape. After all, this is but the end of the story. An end that, despite the wind and the driving rain, has been happy: Venice overcame the crisis without serious consequences, the Acqua Granda has been, to quote the writer Ben Lerner, a storm that never happened thanks to MOSE. But Westerman – one who has made journalism a form of high-level literature and who, on the island of San Servolo, got to know directly the fragile lagoonal reality of the city – told about those times when the storms really arrived, in 2019 in Venice and, with all the horror of an announced tragedy, in Vajont in October 1963. He did it in a small book, Dittico idraulico (transl. Hydraulic Diptych, 2022), released by the Venetian publishing house Wetlands; and he did it through his style of reporter, of investigator in first person of that mysterious thing we call reality. Before continuing to write, I inhale the smell of this moment, which is brackish and humid. I think it's the right smell to try to move forward, the right smell to let the words gradually overwhelm me like the Lagoon growing, and growing, and growing. Inside me, the sentimental image of it becomes enormous, inescapable. Venice is the city. Venice is water. And this is a story about waters. Entr’acte #01: large-scale hydraulic works have marked the history of humankind and its civilization. The Roman aqueducts today still stand as a warning in front of my traveller’s eyes, a warning that can also sounds sinister if I think of the theme – indeed, of the hyperobject, in the words of the philosopher Timothy Morton – of climate change. The port of Carthage compared to that of Rotterdam, and its hypercontemporary architecture; the dams on the Nile and the boats of the ancient Egyptians; those lighthouses that stood literally at end of the world, as if they were in Edgar Allan Poe's head, present as bastions of our involuntary memories. «Facts are inorganic, they are not alive, they are dead matter. On the other hand, stories are alive», Westerman told me one day in Ferrara. «We must whisper, breathe life into facts», and then, raising his voice, almost as a matter of urgency: «Stories multiply, they change, they evolve. And I'm not talking about the novels, but about the reports, the essays. I don't invent anything, but as a writer I try to bring facts to life». And facts in this case are intertwined, united by the story of some witnesses, by returning to the places, by trying to reconstruct the different forms of mythology – historical, political, interpretative and even judicial – which are inevitably accompanied by the recomposition of a catastrophic fact such as the collapse of the dam that swept away Longarone, but also of the periodic Venetian floods, that inexhaustible return of the Sea which gradually submerges the city and, with it, our collective imaginary regarding one of the most famous places in the world, known by millions and millions of people. Even though, how many of these really walked on the wooden walkways in Piazza San Marco, during the evenings of high water? How many have actually seen houses flooding or doors disappearing? How many have heard the silence, one moment before the disaster? «The zero point of high and low water in Venice – Westerman wrote in his story made of two stories, between the Lagoon and Vajont – is the mean sea level, measured in 1897. On the Punta della Salute, at the mouth of the Grand Canal, this tidal zero is indicated with a horizontal line, around which a monitoring station has been built bringing to mind a latrine. Inside, a vertical cylindrical roller slowly turns, covered with squared paper. A mechanical pen, connected to a float in the water, draws the waves of low and high tide to the rhythm of the position of the sun and the moon». Not much happens in this passage, but it's nice to hear the voice of the engineer (some say agricultural, others, perhaps under suggestion, even say hydraulic) that Westerman was before becoming, as the flap of the book states, «one of the most important contemporary Dutch writers». A voice with an analytical approach, but also with the posture of the narrator, of the observer. I like to think, as if I was playing identification, also of the reporter. I have often stopped on that Punta in recent

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34 35 Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello Spirito (the studio): Terra dell’ultimo cielo - Evoluzione, 2016 veduta dell’installazione @ MADRE: orologio, frammenti di vetro, dimensioni ambientali con il supporto di: Fondazione Morra (Napoli), Museo MADRE (Napoli) credits: Amedeo Benestante – courtesy: l’artista, Galleria Lia Rumma Milano/Napoli

36 37 Il corpo e il riparo: diritto all’acqua e arte contemporanea. Conversazione con Gian Maria Tosatti Fabiola Triolo L’arte contemporanea è il regno del simbolo, e sovrana del simbolo è la metafora. È sul solco di una metafora che Ossigeno è oggi grato a Gian Maria Tosatti (Roma, 1980, vive e lavora a Napoli) per avere accolto l’invito a camminare tra queste pagine sulla traccia di un terreno fertile: quella della metafora tra arte e acqua. Arte vivifica, come l’acqua. Plastica come l’acqua. Potente come l’acqua. Diritto alla libertà dell’arte, come libera è – o dovrebbe essere – l’acqua. È in nome della potenza simbolica e prismatica dell’acqua che i più grandi artisti contemporanei hanno irrorato e sommerso le proprie opere, ma l’avere scelto Gian Maria Tosatti – cui, nel 2022, l’Italia ha affidato entrambe le sue più grandi istituzioni artistiche, la Biennale di Venezia e la �uadriennale di Roma – come faro, per indagare la protezione che l’arte contemporanea mette in atto rispetto al diritto universale all’acqua, trascende la forma e coinvolge l’essenza: al di là del significativo impiego, poetico e simbolico, dell’elemento acquatico nella sua arte, Gian Maria Tosatti è un corpo d’acqua. Mi spiego. H2O, due parti di idrogeno e una di ossigeno, per dare vita al composto che per antonomasia dà la vita. Diplomatosi in Regia, laureatosi in Lettere Moderne, artista, saggista, critico ed editorialista culturale, la sua struttura, come quella dell’acqua, è composita. Ma non solo. Tratta dal sito di un tempio internazionale dell’arte contemporanea quale è il Pirelli HangarBicocca: «La pratica dell’artista italiano Gian Maria Tosatti è incentrata sui concetti di identità, collettività e memoria, nella loro valenza storica, politica e spirituale. Svolgendo lunghe e articolate ricerche, e attingendo liberamente al linguaggio delle arti visive, della performance e dell’architettura, Tosatti realizza grandi installazioni site-specific, spesso concepite per interi edifici o aree urbane e destinate a durare per lunghi periodi di tempo. Il suo lavoro coinvolge inoltre le comunità connesse ai luoghi in cui le opere, spesso contraddistinte da una forte ciclicità, prendono corpo». Ciclicità. Attingimento. Permeabilità. Collettività. Fluidità. Durata. Anche la sua biografia ufficiale possiede i caratteri dell’acqua. E ancora: l’immaginario è la fonte primaria da cui l’artista attinge per dare corpo alla propria visione, e in un suo editoriale del 2009 per quell’inciampo luminoso che è stato La Differenza – pubblicazione culturale di cui è stato genitore, prima che direttore – Tosatti scrive: «L’immaginario è un mondo molle, di mercurio, attraversabile, rapido, sfuggente, liquido, fatto di desideri e paure. Eppure talvolta entrare nel mondo dell’immaginario, attraversarlo, diventa un passaggio obbligato per proseguire in una certa direzione, per poter veramente andare oltre. L’immaginario diventa il fiume che si deve superare a nuoto». Con la consapevolezza del valore prezioso dell’acqua, e con la volontà dello scardinamento di luoghi comuni pregiudicanti, posso dire che tanto l’opera quanto l’immaginario di Gian Maria Tosatti fanno acqua: generano e nutrono. E da calabrese che vive sul mare, in una Calabria che sa di quella Napoli che Tosatti ha scelto come casa, sono altrettanto consapevole che un corpo d’acqua ha bisogno di acqua. È ciò che mi conferma lui stesso: «Nel 2013 ho iniziato un progetto a Napoli che si chiamava Sette Stagioni dello Spirito. Tre anni di lavoro di grande intensità. Mi spostai lì da New York, la città in cui vivevo. Peppe Morra, grande mecenate, mi mise a disposizione una casa che aveva due stanze. Una era lo studio in cui avrei dovuto lavorare. Aveva finestre piccole, posizionate molto in alto, quasi non si riusciva a veder fuori. Si vedeva solo il cielo. L’altra stanza era la camera da letto, con sei grandi finestre, da cielo a terra. Affacciavano tutte sul golfo di Napoli. In basso la città. Di fronte il mare. A tutto campo. Senza niente che me lo coprisse. Di notte, la luce del faro mi veniva a cercare negli angoli. Finito il progetto, nel 2016 me ne tornai stabilmente a New York, ma due anni dopo decisi di ritornare a vivere a Napoli, di stabilire lì il mio studio. E decisi che lo avrei fatto solo se avessi trovato un’altra casa dalle cui finestre si vedesse il mare. Così fu». C’è ancora un motivo per cui Gian Maria Tosatti può farsi testimone del rapporto tra arte contemporanea e acqua, e risiede in quella similarità tra il suo modo di lavorare e quello che Leonardo chiamò sangue della Terra, tra mare, cielo e suolo, tra evaporazione, condensazione, precipitazione e infiltrazione: è il ciclo dell’acqua, ed è semplicemente vitale. Una delle costanti dell’opera di Tosatti è proprio quella di lavorare per cicli. Romanzi visivi, sono stati spesso definiti, capitoli consequenziali che compongono un unico, potente ritratto. Sulla doppia natura umana, trascendente e terrena, in Devozioni (2005-2011). Sul rapporto con lo spazio, in Landscapes (2006-2011), e con la memoria, in Le considerazioni sugli intenti della mia prima comunione restano lettera morta (2009-2014). Sulla solitudine aliena che sfocia dalle promesse mancate di New York, città in cui ha vissuto per

42 43 Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello Spirito (the studio): 4_Ritorno a casa – archeologia (tavolo con Novalgina), 2016 tavolo in legno, cera, bicchiere di vetro, acqua, boccetta di Novalgina, 82 x 223 x 91 cm con il supporto di: Fondazione Morra (Napoli), Museo MADRE (Napoli) - courtesy: l’artista, Galleria Lia Rumma Milano/Napoli

60 61 The body and the shelter: right to water and contemporary art. A conversation with Gian Maria Tosatti Fabiola Triolo Contemporary art is the realm of symbol, and sovereign of symbol is the metaphor. It is in the wake of a metaphor that Ossigeno is today grateful to Gian Maria Tosatti (b. Rome, 1980, lives and works in Naples) for having accepted our invitation to walk through these pages on the track of a fertile ground: that of the metaphor between art and water. Art vivifying like water. Plastic like water. Powerful like water. Right to freedom of art, as free is – or should be – water. It is in the name of the symbolic and prismatic power of water that the greatest contemporary artists have sprinkled and submerged their artworks, but having chosen Gian Maria Tosatti – trustee, in 2022, of Italy’s two major art institutions, the Venice Biennale and the Rome �uadrennial – as a beacon, to investigate the protection that contemporary art puts in place with respect to the universal right to water, transcends the shape and involves the essence: beyond the significant, poetic and symbolic use of the aquatic element within his art, Gian Maria Tosatti is a body of water. I mean: H2O, two parts of hydrogen and one of oxygen, to give life to the substance that quintessentially gives life. Degreed in Directing, graduated in Modern Literature, artist, essayist, reviewer and cultural columnist, his structure, like that of water, is composite. And more. Drawn out of the website of a contemporary art temple the likes of Pirelli HangarBicocca: «The practice of the Italian artist Gian Maria Tosatti is focused on the concepts of identity, collectiveness and memory, in their historical, political and spiritual value. Carrying out long and articulated researches, and dipping freely into the language of visual arts, performance and architecture, Tosatti creates majestic site-specific installations, often conceived for entire buildings or urban areas and intended to last for long periods of time. His work also involves the communities connected to the places where his artworks, often marked by a strong sense of cyclicity, take shape». Cyclicity. Dipping. Permeability. Collectiveness. Fluidity. Long-lasting. Even his official biography has the features of water. And still: imaginary is the primary source from which the artist draws in order to give substance to his vision, and in one of his editorials dated 2009 for that luminous stolperstein called La Differenza – whose he has been parent, before having been the director – he wrote: «Imaginary is a soft world, made of mercury, traversable, rapid, elusive, liquid, made up of desires and fears. Yet sometimes entering the world of the imaginary, crossing it, becomes an obligatory step to continue towards a certain direction, to be able to go truly further. Imaginary becomes the river that you have to swim across». With the awareness of the precious value of water, and with the will to undermine prejudicial clichés, I would tell that both the work and the imaginary of Gian Maria Tosatti make water: they do generate and nourish. And as a Calabrian who lives by the sea, in a Calabria that smells like that Naples that Tosatti has chosen as his home, I am equally aware that a body of water needs water. That’s what he himself has confirmed to me: «In 2013, I began a project in Naples called Seven Seasons of the Spirit. Three years of intense work. I moved there from New York, the city where I lived. Peppe Morra, a great patron of the arts, made me available a house with two rooms. One was the studio where I had to work. It had small windows, set very high, you could hardly see out. Only the sky could be seen. The other one was the bedroom, with six large windows, from sky to earth. They all overlooked the Gulf of Naples. Below there was the city. Facing the sea. All-out. Nothing to cover it. At night, the glow from the lighthouse came looking for me in the corners. Once finished the project, in 2016 I moved back to New York, but two years later I decided to go back and live in Naples, to establish my studio there. And I decided that I would have done it, only if I had been able to find another house whose windows could overlook the sea. And so it was». There is still a reason why Gian Maria Tosatti can bear witness to the relationship between contemporary art and water, and it lies in that sameness between his way of working and what Leonardo called the blood of the Earth, between sea, sky and soil, between evaporation, condensation, precipitation and infiltration: it's the water cycle, and it's simply vital. One of the constants in Tosatti's work is that of working in cycles. Visual novels, as they have often been called, sequential chapters making up a single, powerful portrait. About the duality of human nature, both transcendent and mundane, in Devotions (2005-2011). Concerning the relationship with space, in Landscapes (2006-2011), and with memory, in The considerations on the intentions of my first holy communion remain a dead letter (2009-2014). About the alien solitude that flows from the broken promises of New York, in I've already been here (2011-2014).

64 65 Gian Maria Tosatti, My hart is so leeg soos 'n spieël - Kaapstad episode (My heart is a void, the void is a mirror - Cape Town episode), 2019 view of the installation: glass bottles, water, mixed media, environmental dimensions supported by: A4 Arts Foundation (Cape Town), Italian Ministry of Culture, Italian Cultural Institute in South Africa (Pretoria) courtesy: the artist, Galleria Lia Rumma Milano/Napoli

82 83 Gian Maria Tosatti, Il mio cuore è vuoto come uno specchio – Episodio di Catania (My heart is a void, the void is a mirror - Catania Episode), 2018 view of the installation @ Palazzo Biscari: mixed media, environmental dimensions courtesy: the artist, Galleria Lia Rumma Milano/ Napoli

86 87 «Il bisogno aguzza l’ingegno» è un proverbio tanto noto quanto, a volte, abusato. Ma è pertinente come sintesi del modo in cui una nazione che è per il 60% desertica, che ha storicamente sofferto di una costante carenza d'acqua e che sta vivendo l’incremento di una popolazione in rapida espansione sia riuscita a produrre il 20% in più di acqua rispetto al proprio fabbisogno. Solo pochi anni fa, il crescente divario tra domanda e offerta idrica si stava avviando a diventare l'incubo nazionale. Ma Israele è riuscito a rifuggire quella prospettiva di aridità per merito dell’innovazione tecnologica e di infrastrutture pionieristiche. Se il bisogno è la forza trainante di gran parte delle nuove invenzioni, come da proverbio, allora – in quanto piccolo stato con scarsa disponibilità d’acqua, una risorsa limitata – c'era una sfida che andava assolutamente vinta. Alcune delle principali invenzioni, innovazioni e brevetti provengono dalla regione israeliana del Negev meridionale, laboratorio vivente di scienza e tecnologia per le terre aride. Promuovere e guidare lo sviluppo di tecnologie che affrontano le sfide legate al deserto è l’anima di DeserTech, una tra le più giovani comunità di innovazione. Una comunità istituita dalla Merage Foundation Israel, fondazione catalizzatrice che si prefigge l’obiettivo di promuovere la crescita economica nella regione del Negev, affidandosi ai vantaggi competitivi di quella terra. La Merage Foundation Israel ha saputo intuire il potenziale offerto dalla creazione di un cluster di innovazione nel Negev, e ha così unito le forze con l'Israel Innovation Institute, con il Ministero israeliano della Protezione Ambientale e con l'Università Ben-Gurion del Negev, dando vita alla DeserTech Community. DeserTech si trova a Be'er-Sheva, nota come “la capitale del Negev”, e si dedica proprio alla promozione dello sviluppo, dell'adeguamento e della commercializzazione di tecnologie che consentano una vita sostenibile in climi aridi, in particolare nelle aree maggiormente colpite dalla scarsità d'acqua. DeserTech organizza inoltre seminari internazionali per lo sviluppo e l'adeguamento di tecnologie legate al deserto e crea centinaia di opportunità commerciali per le startup israeliane coinvolte nei settori connessi all'acqua, all'agricoltura, alle energie rinnovabili e alle infrastrutture. La presenza di migliaia di startup e del maggior numero di ingegneri pro-capite rispetto a qualsiasi altra parte del mondo rende Israele un hub ideale per l'innovazione. Il modo in cui supportare e riunire le diverse aziende, i centri accademici e le startup coinvolte in esigenze globali è la sfida che affronta l'Israel Innovation Institute senza scopo di lucro. La missione di questo do-tank, di questo serbatoio, è proprio quella di creare comunità di innovazione in cui imprenditori e startup operanti in settori come l’assistenza sanitaria, l’agricoltura, le infrastrutture e i cambiamenti climatici possano condividere sfide e soluzioni reciproche. L'Istituto aiuta le comunità a trovare risorse, a stabilire connessioni e, azione di vitale importanza, a mettere in circolo i saperi tra gli operatori del settore: come coniugare esigenze e soluzioni e come creare opportunità imprenditoriali. Inoltre, l'Israel Innovation Institute accompagna e sostiene le organizzazioni internazionali che partecipano all'ecosistema di innovazione israeliano. Patricia Golan - the DeserTech Community Acqua nel deserto Riciclaggio e disinfezione dell’acqua, desalinizzazione, irrigazione a goccia: Israele condivide le sue competenze su scala internazionale «Il primo ministro israeliano David Ben-Gurion è stato così abile da capire che, essendo noi una nazione desertica per il 60%, se non riusciamo a resistere al deserto non sopravviveremo», afferma il Prof. Amit Gross, direttore dell'Istituto Zuckerberg per le Ricerche sull'Acqua dell’Università BenGurion del Negev. «Le tematiche idriche sono state la nostra principale occupazione sin dall'inizio. Abbiamo dovuto trovare soluzioni alla scarsità d'acqua, mentre in altri stati ciò non ha mai rappresentato un problema. Di conseguenza, custodiamo un vantaggio di diversi anni durante i quali abbiamo affrontato questo tipo di istanze». «È come se Israele fosse un’isola a sé stante, e quando ci sono problemi dobbiamo autonomamente trovare soluzioni», commenta Steve Elbaz, vicepresidente di Watergen, azienda che ha messo a punto un procedimento capace di creare – letteralmente – acqua potabile dall'aria. Come per Iron Dome, afferma Elbaz, sistema mobile di difesa aerea sviluppato dalle industrie di difesa israeliane, «quando hai bisogno di una barriera protettiva, la costruisci; quando non hai acqua, la ricrei». La tecnologia di Watergen aspira l'umidità dall'aria utilizzando l'energia solare, creando così acqua potabile in loco. Le centraline di acqua dall'aria sono già in uso in 65 paesi, tra cui la Striscia di Gaza e alcuni villaggi rurali dell'Africa centrale. Watergen non è che una delle tante aziende, startup e centri di ricerca accademici israeliani che hanno sviluppato e stanno implementando tecnologie di successo per affrontare il problema vitale della mancanza di acqua. La maggior parte – se non tutte – le soluzioni sono state messe a punto nel sud di Israele, area ormai nota per l’innovatività delle misure di conservazione idrica. Probabilmente la più antica, e certamente una delle più proficue innovazioni israeliane, è il sistema di irrigazione a goccia creato e sviluppato a metà degli anni '60 nel Kibbutz Hatzerim, nel sud più arido. Il metodo, allora giudicato rivoluzionario, porta l'acqua lentamente e direttamente alle radici delle colture attraverso una rete di tubi, valvole e gocciolatoi. Oggi la multinazionale dell'irrigazione a goccia Netafim, fondata dal Kibbutz, opera in 150 paesi e l'irrigazione a goccia disseta il 75% dei raccolti di Israele. Per la sua natura di nazione sul mare, può sembrare strano che Israele sia giunta relativamente tardi alla desalinizzazione su larga scala dell'acqua marina, di cui ha avviato l'implementazione solo nel 2005, nonostante l’attuazione della pratica di osmosi inversa che ha rivoluzionato la desalinizzazione dell'acqua. Una pratica sviluppata da Sidney Loeb presso l’Istituto Zuckerberg per le Ricerche sull’Acqua della Ben-Gurion University. Tradizionalmente la desalinizzazione è sempre stata un'impresa costosa, ma i progressi israeliani l'hanno resa oggi molto più accessibile, consentendo l’allargamento del programma. Attualmente cinque grandi strutture sono operative in Israele, più altre due in fase di sviluppo, che consentono anche l’esportazione di acqua in nazioni in difficoltà come la Giordania. Per decenni Israele si è resa capofila del trattamento delle acque reflue, di cui attualmente riutilizza circa il 90% per l'agricoltura, più di qualsiasi altra nazione. Ma poiché il sistema include il riutilizzo dell'acqua dei servizi igienici, a partire dal 2003 i ricercatori dello Zuckerberg Institute si sono impegnati nella ricerca di un modo di utilizzo più efficiente di quelle definite acque grigie, ossia acque reflue provenienti da abitazioni o da uffici (lavandini, vasche da bagno, lavatrici etc.), che fossero separate dalle acque reflue da toilette. «Ci siamo resi conto che se si separano le fonti domestiche, escludendo anche il flusso proveniente dalla cucina, la qualità iniziale delle acque reflue è molto più alta», spiega il Prof. Gross dello Zuckerberg Institute. Il sistema, dice, doveva essere reso economicamente sostenibile e privo di rischi per la salute. Il team ha così avviato quello che si è rivelato un esperimento di successo, che alla fine ha portato alla creazione di linee guida per l'implementazione. Sebbene oggi il sistema delle acque grigie sia impiegato da country club e altre location in Israele, il Ministero della Salute non ne ha approvato l'uso diffuso nella nazione. «È strano che siamo leader mondiali in termini di ricerca sulle acque grigie, ma in termini pratici la ricerca israeliana venga applicata in altri stati, Australia inclusa», rileva Gross. �uasi tutte le nazioni si sono dotate di impianti di trattamento delle acque reflue. Ma anche gli impianti più moderni devono fare i conti con il grave problema di livelli di inquinamento superiori a quelli che il sistema può gestire. L'azienda israeliana Kando ha sviluppato una tecnologia estremamente accurata – una piattaforma di intelligence delle acque reflue – che monitora il flusso in ingresso, identificando le materie di inquinamento pericolose e rendendo così il processo più efficiente. «A volte, la qualità delle acque reflue in entrata è così scadente che i processi non riescono a smaltirle. Spesso gli impianti devono chiudere perché non c'è modo di trattarle; di conseguenza

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